Sembra incredibile, ma ancor oggi è possibile incontrare pellegrini che “ a piedi “ percorrono di buon passo la Via Francigena, avendo per unica meta Roma. Si tratta in genere di stranieri: polacchi, tedeschi o irlandesi. Ma i proprietari dei radi bar o trattorie del tratto appenninico ricordano anche di aver ospitato degli scandinavi, e comunque anche italiani.
Sono ovviamente equipaggiati come gli escursionisti contemporanei delle nostre montagne, e non manca mai il bordone, sia pur in alluminio o in fibra di carbonio. Ciò che colpisce di loro è la tranquillità e la determinatezza nell’avanzare con qualunque tempo, avendo una meta ben chiara in testa: la Città Eterna.
Che cosa è un “Museo Diffuso“?
Le definizioni sono francamente troppe e spesso divergenti tra loro.
Ma un “Amico dei Musei” non si perde d’animo e con un ragionamento logico identifica il Museo Diffuso come un insieme di opere realizzate dall’uomo, collocate in uno spazio definito e omogeneo, in grado di dare una vera emozione al visitatore e che non siano racchiuse tra le quattro canoniche pareti che contraddistinguono un museo tradizionale.
Con questo semplice concetto sono andato alla ricerca di opere d’arte innalzate quasi un millennio fa dall’uomo, per la maggior parte a me ancora sconosciute e che ritenevo potessero nel loro insieme formare un originale ed raffinato Museo Diffuso.
Mi sto riferendo alle pievi romaniche che costellano il tratto appenninico della antica Via Francigena, quel leggendario, ma realmente esistito cammino che già nel lontano e tenebroso anno Mille accompagnava i pellegrini d’Oltralpe alla visita delle sacre Basiliche romane.
E ciò già avveniva tre secoli prima che Bonifacio VIII istituisse l’Anno Santo!
Era un cammino che iniziava a Canterbury nell’odierna Inghilterra e dopo aver by-passato le acque tempestose della Manica con le modeste imbarcazioni di allora, proseguiva per oltre duemila chilometri in Francia e nell’odierno Cantone svizzero del Vallese, per entrare infine in Italia.
Ben 1015 chilometri si dispiegavano nel nostro Paese, dal passo del Gran San Bernardo giù per la Pianura Padana ( Ivrea, Vercelli, Pavia, Piacenza, Fidenza ), per poi inoltrarsi tra le alture dell’Appennino e superarle al passo della Cisa, chiamato allora la Via di Bardone, per scendere poi nelle vallate toscane e liguri toccando Pontremoli, Sarzana ed inserendosi infine negli itinerari delle vie consolari romane Aurelia e Cassia laddove erano ancora percorribili, o su nuovi sentieri di fortuna tracciati attorno alle zone disastrate.
Lambendo località come Lucca, San Gimignano, Siena, Radicofani, Bolsena e Viterbo i pellegrini giungevano in vista della grande Basilica costantiniana di San Pietro a Roma.
Un viaggio di grande devozione religiosa, che poteva diventare assai pericoloso per le difficoltà insite nell’accidentato percorso, e anche per possibili incontri con pericolosi malviventi, se lungo tutto il tragitto gli Ordini Monastici e i Signori dei luoghi non avessero provveduto ad arricchire la Via Francigena di posti di ristoro e pernottamento a distanze medie di una giornata di cammino, ricalcando gli schemi delle famose “mansiones e submansiones” romane.
Accanto agli ospizi od ospedali per i romei sorsero naturalmente delle pievi nello stile romanico di allora, in pietra grezza molto suggestiva, ove i pellegrini potevano rinnovare le preghiere a Dio in attesa del loro grande incontro della vita nelle Basiliche romane.
Nelle zone di pianura è ormai difficile ritrovare tracce della Via Francigena, tali e tanti sono stati gli stravolgimenti nei secoli dovuti a cause naturali, e soprattutto per mano dell’uomo. Curiosamente il tratto più difficile e impegnativo, i 60 chilometri di montagna tra Fornovo e Pontremoli, è quello che ha conservato maggiori tracce della Via, ancor oggi percorribili a piedi per diversi tratti sul fondo stradale originale di rustico selciato, immersi in boschi di secolari castagni.
Ma soprattutto hanno custodito meravigliose opere architettoniche religiose che arricchivano e glorificavano il faticoso cammino dei pellegrini.
Il mio viaggio di ricerca inizia in effetti quando sono al limite della pianura.
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