Licisco Magagnato, un rivoluzionario mite. L’opinione di Giuseppe Perotti

Quando un personaggio illustre lascia questa Terra, i principali quotidiani pubblicano prontamente un articolo elogiativo sul defunto; elogio già predisposto e sempre diligentemente aggiornato dai giovani di redazione , che nel gergo tipografico va sotto il nome un po’ ironico di “coccodrillo”.

Ma a trent’anni dalla scomparsa quale ricordo rimane del personaggio?

Ebbene, assistendo il 17 ottobre alla commemorazione di un grande che ha operato per molti anni in Verona nel campo museale e scomparso nel 1987, la commozione di chi lo ha conosciuto personalmente, e l’interesse culturale di chi, come il sottoscritto, non ha avuto questo privilegio, hanno prevalso su ogni altra espressione dell’animo.

Paola Marini ricordando la luminosa figura di Licisco Magagnato, suo predecessore alla Direzione dei Musei civici veronesi, ma “Uomo dell’Arte” a tutto tondo, ha fatto rivivere con grande efficacia le grandi doti dello studioso.

Un uomo che pur facendo leva su un carattere mite e pacato riuscì fra l’altro a realizzare in Verona, e non solo, una epocale trasformazione ed uno svecchiamento di tutto ciò che ruotava attorno alle arti figurative ed alla loro fruizione museale.

Trasformò infatti datate strutture, come il Museo di Castelvecchio, da contenitore di opere d’arte ad una vera opera d’arte architettonica a se stante, grazie anche al sodalizio culturale e scientifico contratto con il grande architetto Carlo Scarpa e con i collaboratori della sua Scuola.

Per capire l’uomo di “alta cultura” Licisco Magagnato la relatrice ha dapprima ricordato la figura politica di Magagnato.

Iscritto al partito Repubblicano, un piccolo, ma importante partito laico di grande impatto morale ed intellettuale scomparso da molti anni, auspicò con altri iscritti, ma con scarso successo, la possibilità di un connubio tra socialismo e liberalismo.

Fornito quindi di una solida base di rettitudine e di serietà morale, iniziò la sua professione indirizzata alla gestione e alla direzione museale, concependola come una realtà che doveva soddisfare a tre capisaldi :

  • il ruolo ed il valore sociale del museo.
  • il rigore del mestiere e la sua artigianalità, conciliando la gestione e la valorizzazione del museo con l’attività di ricerca.
  • controllo critico e ironia, riscattando le difficoltà con lievità.

Vicentino di nascita, si interessò fin dagli anni universitari del Palladio e si laureò a Padova, avendo come relatore della tesi Sergio Bettini e della specializzazione Giuseppe Fiocco.

Una ricerca ed una passione culturale che lo accompagnò tutta la vita fu lo studio del Teatro Olimpico di Vicenza per il quale scrisse più di un lavoro all’inizio e al termine della sua carriera di studioso. Partecipò con altri colleghi veneti anche alla stesura di una fondamentale guida artistica di Vicenza, divenuta un classico del suo genere.

Nelle diverse città padane dove operò prima di stabilirsi a Verona, rimangono tracce del suo desiderio di aprire i musei locali alla città, creando una benefica osmosi tra la vecchia cultura accademica per pochi e il desiderio di molti di apprendere e capire il “bello” delle opere esposte nei musei.

Il primo museo da lui diretto fu quello di Bassano del Grappa, dove lasciò un segno tangibile attraverso il riordino e la valorizzazione del vastissimo patrimonio pittorico di Iacopo Bassano, dei suoi figli e della sua scuola, dei disegni, a cominciare da quelli di Antonio Canova e delle stampe dei Remondini.

Ma inizia anche un intenso intreccio di collegamenti con illustri docenti e studiosi dell’epoca (Ragghianti, Pallucchini, lo stesso suo relatore Fiocco) partecipando attivamente alla realizzazione di iniziative di restauro, studio ed esposizione che facevano leva sul patrimonio locale. Il giovane direttore del museo di Bassano si muove con perizia e disinvoltura tra le grandi Istituzioni d’arte venete, creando i presupposti per una loro ulteriore valorizzazione; come in effetti avvenne negli anni a venire.

Arrivato alla direzione di Castelvecchio, come primo intervento fece spostare direzione e uffici del museo dalla Torre San Zeno al sito accanto alle prime sale espositive, dove si trovano ancor oggi.

Un atto di buon senso e di avvicinamento agli ospiti visitatori.

È di quel periodo una prima valorizzazione del museo con l’acquisto da lui promosso e sollecitato di una importantissima opera del Tintoretto, tuttora esposta e di due belle e famose cere di Medardo Rosso, destinate alla Galleria d’Arte moderna di Verona.

Ma una volta ben avviata la sua direzione al museo fece pressione sulle autorità per dare una veste di moderna attualità al Museo, ribadendo il pensiero dell’allora direttore del museo del Castello Sforzescoa Milano Costantino Baroni, per il quale il museo moderno non doveva più essere una identità elitaria, ma “popolare e parlante”.

E finalmente, su un coacervo di ambientazioni pseudo antiche, tendenti a creare una presentazione teatrale delle opere esposte, il continuo dialogo e confronto tra Licisco Magagnato e Carlo Scarpa, coadiuvati da valenti ed appassionati collaboratori, dà vita ad un impianto espositivo ammirato ancor oggi, a oltre mezzo secolo dalla sua realizzazione (1964), come una vera opera d’arte architettonica a se stante.

Una struttura che esalta e nel contempo vivifica la visione delle opere antiche esposte.

Il museo, inteso come un microcosmo autonomo, viene completato da strutture integrative fondamentali quali una biblioteca specializzata, un gabinetto fotografico, un laboratorio di restauro.

Licisco Magagnato, conscio dell’importanza del lavoro di ristrutturazione fatto con Carlo Scarpa, si preoccupa di raccogliere e conservare tutti i disegni dell’architetto e dei suoi collaboratori; ed oggi Alba Di Lieto, già allora giovanissima collaboratrice del gruppo, ne è il conservatore.

L’eco del lavoro di Scarpa e Magagnato è immediato, ed altri cercano di seguire lo stesso indirizzo restaurativi, anche se in opere meno grandiose di Castelvecchio.

Magagnato è l’esempio di manager moderno che confronta in continuità il suo lavoro, le sue idee con quelle di altri studiosi italiani ed esteri, per trarre dai confronti il meglio su cui operare.

Ma oltre all’opera più significativa, tutto il sistema museale veronese viene da lui rivisitato e reso fruibile alle mutate esigenze dei visitatori.

Nasce nel 1973 il Museo degli Affreschi, omaggio alla Verona di un tempo, la celebre Urbs picta. E sotto la sua direzione prendono nuova vita, grazie a valenti collaboratori scelti tra i migliori studiosi del settore, il Museo archeologico ed il Lapidario maffeiano (1982).
Licisco Magagnato ebbe l’indiscutibile merito di anteporre ad ogni iniziativa di miglioramento e di ristrutturazione dei musei veronesi un controllo critico e scientifico.

Ma il prof. Magagnato non fu solo direttore. Si attivò sempre per vitalizzare e rendere effervescente la cultura veronese di quegli anni, aprendola, fra l’altro, ad una corrente di turismo culturale molto importante, attraverso la realizzazione di numerosissime mostre ed eventi culturali temporanei che ebbero sede sia nei musei comunali che in altre sedi cittadine con disponibilità di ampi spazi espositivi.
L’elenco completo di queste manifestazioni è impressionante e spazia dalle arti primitive alle arti applicate; dall’arte popolare alle tecniche artistiche, su su fino a mostre che andavano a valorizzare nuovi artisti o che consacravano grandi pittori e scultori stranieri, ma anche italiani del ‘900, forse fino ad allora ancora non sufficientemente conosciuti.

Sono eventi che lasciano un’eco profonda, ed ancora oggi i critici li ricordano nei loro scritti come tappe fondamentali per una più compiuta conoscenza di tanti artisti e per far luce sui momenti chiave della storia dell’arte sia in Italia e che nel mondo.

Si può ben affermare che sotto la cortese, ma decisa spinta propulsiva impressa da Licisco Magagnato ad ogni evento artistico da lui pensato e realizzato, Verona fu promossa al rango di una vera “città d’arte”, qualifica fino ad allora assegnata a Venezia ed a pochissime altre città italiane.

Nel 1967 Magagnato diventa il primo docente in Storia dell’Arte della giovanissima Università di Verona, a conferma della vasta e profonda conoscenza conseguita attraverso lo studio e l’applicazione pratica sul campo.
A riprova di ciò va ricordato che fu uno dei fautori, ma anche docente dei corsi serali di Educazione artistica in Verona. Uno dei rari politici che seppe mettere in pratica gli ideali per i quali si era battuto, collaudandoli di persona.

Tra le tante cose che avrebbe voluto fare, ma rimasero solo in bozza, ricordiamo una Rivista per il Museo, il Catalogo Generale delle opere di Castelvecchio e l’Associazione degli Amici dei Musei.
Progetti che i suoi successori hanno portato a compimento nel suo ricordo.

Su Licisco Magagnato si potrebbero consumare fiumi di inchiostro, tanti e fondamentali furono i problemi da lui affrontati e portati a termine nella conduzione del Museo di Castelvecchio e nelle molte altre iniziative culturali e artistiche.

Ma il suo pensiero può venir sintetizzato da una frase da lui stesso pronunciata: «Ciò che distingue il carattere di certi musei “minori” italiani non è nella quantità delle opere e delle collezioni di cui essi sono costituiti, ma il loro rapporto con la città in cui hanno sede».

Una frase che potrebbe essere adottata come griffe dagli Amici dei Musei di Verona, a cui ci onoriamo di appartenere.

 

Giuseppe Perotti

 

P.S. L’autore di questa nota si domanda come a distanza di trent’anni dalla morte di un italiano così importante, che ha onorato Verona con opere ed atti tra i più belli e significativi del XX secolo, le Amministrazioni Comunali succedutesi negli anni non abbiano pensato di dedicargli una via, una piazza, un vicolo cieco, o almeno quel ritaglio di piazzetta acciottolata sul lato destro dell’ingresso del Teatro Romano, con un solo numero civico, proprio quello che dava ingresso dal giardino alla antica palazzina ove abitava… Licisco Magagnato con la sua famiglia.
Potrebbe l’attuale Amministrazione Comunale, di recentissimo insediamento, prendere in esame la richiesta e se nulla osta magari approvarla e darne attuazione? Grazie.


GAUDEAMUS IGITUR

Tutto è bene quel che finisce bene.
Finalmente i diciassette capolavori rubati lo scorso anno sono rientrati a Castelvecchio!

Pare anche che siano in discrete condizioni, visto che nell’arco di tredici mesi hanno subito maltrattamenti e violenze di vario tipo, trasferimenti in condizioni assolutamente precarie e accantonamenti in rifugi umidi e inadatti. Se pensiamo al rischio reale che fossero scomparsi per sempre, o che fossero ritornati in condizioni pietose, dobbiamo doppiamente rallegrarci.

Ciò nondimeno il lieto fine non deve certo risolversi unicamente in un sospiro di sollievo e in una prevedibile processione di curiosi che fino ad ora si sono poco o per nulla interessati al Museo di Castelvecchio, ma che l’eclatante fatto di cronaca ha reso di colpo popolare e molto trendy il visitarlo.

I quadri verranno accuratamente analizzati dai tecnici, amorevolmente rimessi nelle condizioni originali da sapienti restauratori e finalmente ricollocati là dove Carlo Scarpa lo aveva indicato.

Ma non finisce lì.

Il Comune di Verona, proprietario delle opere e gestore del Museo di Castelvecchio dovrà aggiornare e rendere più efficaci i sistemi di custodia, non solo nell’impiantistica che pare sia già piuttosto moderna e affidabile, ma nella gestione sicura e certa del sistema di sicurezza.

Il prossimo anno si rinnoverà il Consiglio Comunale di Verona e verrà eletto un nuovo Sindaco. Sarà opportuno che costui ripristini l’Assessorato alla Cultura del Comune di Verona, una struttura che manca da cinque anni. Verona è una città che brilla ai primi posti in Europa per l’offerta turistica a tutto campo e per la ricchezza del suo patrimonio artistico e paesaggistico, fortunatamente preservato dagli sconsiderati assalti modernistici di alcuni decenni fa.

Auspichiamo un Assessorato che torni a diventare il motore propulsivo e regolatore delle molte attività artistiche ad alto livello che caratterizzano Verona. Sarà l’occasione per far conoscere ai turisti, ma anche ai veronesi, che oltre all’universale Giulietta e al suo balcone, c’è di più, molto di più.

Per la città di Verona la deriva “cheap” che sta ormai condizionando il turismo veneziano di massa, nonostante la dura resistenza che i pochi veneziani di cultura stanno combattendo, non è un  esempio da imitare. E gli Amici dei Musei di Verona che in questi interminabili tredici mesi hanno contribuito non poco a tener sveglia nell’opinione pubblica l’attenzione e la speranza, dovranno ora farsi tangibilmente partecipi del rilancio culturale del Museo di Castelvecchio.

Una concreta e felice partecipazione potrebbe essere quella di immedesimarsi materialmente nelle opere ritrovate, “adottando” da parte di un singolo o di un gruppo di associati una delle diciassette opere rientrate dall’Ucraina e contribuire al costo del suo restauro e del ripristino alle condizioni originali. Ho già inviato la mia personale disponibilità alla Direzione del Museo per il restauro di un certo quadro, ricevendone una gradita accettazione.

Di quale opera pittorica si tratta?

Indovinatelo!

Giuseppe Perotti