Michelangelo architetto: la Basilica vaticana

Sono andata alla Gran Guardia a sentire il prof. Vitale Zanchettin, che ha tenuto una conferenza su Michelangelo architetto: la Basilica Vaticana”.
Pensavo di ascoltare una lezione sullo stile e sulla costruzione della Basilica di San Pietro e sulle scelte architettoniche adottate per la costruzione.
Il professore ha invece allargato il discorso anche ad avvenimenti di carattere politico e religioso, legati alla costruzione della basilica, ma che hanno rivoluzionato tutta la Cristianità.

Già dalla metà del Quattrocento i papi avevano stabilito di costruire una grande chiesa, la più vasta della Cristianità, nel luogo dove era stato sepolto San Pietro, e che era già indicato dalla antichissima basilica fatta costruire dall’imperatore Costantino.
Si può dire che nei primi cinquant’anni di attività furono presentati vari progetti che tendevano a conservare almeno in parte la vecchia basilica, ampliandola e aggiungendo nell’abside un grande coro.
Con il nuovo secolo, il Cinquecento, il papa Giulio II diede l’incarico all’architetto Bramante di progettare una nuova grandissima chiesa a croce greca, cioè con le quattro navate della stessa lunghezza e unite al centro da uno spazio sormontato da una immensa cupola.
Lo stile doveva essere quello più in voga al momento, cioè lo stile Rinascimentale.
Vennero fatti diversi progetti, ma intanto venne abbattuta quasi completamente la vecchia basilica di Costantino.
I lavori iniziarono e proseguirono molto lentamente, ed anche per le gigantesche dimensioni dell’opera i costi divennero presto proibitivi.
Il papa Giulio II pensò allora di raccogliere denaro concedendo ai fedeli di tutto il mondo cristiano, a pagamento, le indulgenze, cioè la possibilità di cancellare i propri peccati, evitando di mandare dopo morti l’anima all’Inferno o di farle passare, nell’ipotesi più favorevole, un lunghissimo periodo in Purgatorio.
Fu la scintilla che fece scattare la ribellione contro il papato del monaco tedesco Martin Lutero; e anche da questa gravissima pratica poco religiosa nascerà il motivo di distacco dalla Chiesa Cattolica di quella che verrà poi chiamata Chiesa Cristiana Protestante.
Per quarant’anni il cantiere della basilica andò avanti sempre più lentamente, anche a causa di devastanti guerre e terribili carestie.
Tra i responsabili dei lavori in questo periodo ci furono Raffaello e l’architetto Antonio da Sangallo il giovane.
Nel 1546 il papa Paolo III affidò i lavori a Michelangelo Buonarroti, già celebre anche in Roma per le opere di scultura e per quella meraviglia assoluta che è la Cappella Sistina, da lui affrescata in due periodi diversi, dapprima sulla volta, e poi, sulla parete di fondo il Giudizio Universale.
Nella direzione dell’immenso cantiere di San Pietro Michelangelo dimostrò di essere superiore a tutti coloro che lo avevano preceduto.
Come grandissimo scultore aveva dimostrato più volte di essere capace di prendere un blocco di marmo e, a furia di colpi di martello e di scalpello, trasformarlo in un’opera d’arte unica per la sua bellezza.
Ma anche come direttore dei lavori di San Pietro fu in grado di progettare, calcolare, disegnare e soprattutto controllare che le centinaia di capomastri, operai, falegnami e scalpellini lavorassero nel modo più preciso, come lui avrebbe fatto al posto loro.
Oggi, dopo quasi cinquecento anni, guardando le parti di basilica costruite sotto la sua direzione, e cioè tutta la parte dell’abside e delle due navate laterali fino alla struttura circolare posta tra i quaranta e i cinquanta metri da terra, la tribuna, formata da pareti di marmo spesse fino ad otto metri e da immense colonne, non si vede una pietra fuori posto: è una opera perfetta !
Alla sua morte nel 1564 altri importanti architetti presero in mano il cantiere e poco alla volta completarono quella che è ritenuta una delle meraviglie del mondo, costruendo sopra la tribuna anche il famoso Cupolone progettato da Michelangelo.
Fra i molti celebri architetti che in duecento anni lavorarono in San Pietro, quello che più emerge per capacità e valore è Michelangelo Buonarroti.

Allegra Ambrosi


I due fratelli Pollaiolo

Sono stata recentemente a Milano con gli Amici dei Musei per visitare alcune collezioni d’arte. La cosa che più mi ha colpito in quella giornata sono state le “Quattro Dame” del Pollaiolo esposte al Museo Poldi Pezzoli.

Casualmente mi è caduto l’occhio sulla notizia di un ciclo di conferenze che si stanno per tenere al Palazzo della Gran Guardia, tra le quali una dedicata ai fratelli Pollaiolo.

Ho approfittato quindi della disponibilità del nonno ad accompagnarmi alla prima di queste conferenze.

Martedì 27 gennaio infatti ci siamo recati alla Gran Guardia per assistere alla conferenza sul Pollaiolotenuta dal prof. Aldo Galli.

Per curiosità va ricordato che Pollaiolo non era il loro vero cognome; ma un soprannome derivante dal fatto che il loro padre era un commerciante di …polli!

Dei due fratelli, Antonio era maggiore di circa dieci anni rispetto al fratello Piero, ed era un artista geniale come orafo, architetto ed anche pittore, ma soprattutto scultore grandissimo.

In questo settore utilizzò il bronzo, l’argento, la terracotta e perfino il sughero. Comunica ad esempio una forte emozione il Cristo in croce da lui modellato in sughero per renderlo più leggero e idoneo ad essere portato a braccia in processione. Ora si trova in San Lorenzo a Firenze ed è un’opera di grande realismo nella quale l’artista immortala con intensa drammaticità il Cristo che esala l’ultimo respiro.

Piero, che inizialmente fu visto solo come un collaboratore del fratello nell’arte della scultura, è il vero pittore della coppia Pollaiolo.

L’eleganza della sua pittura è ben visibile nei magnifici dipinti delle “Dame”, che ritraggono quattro profili di fanciulle fiorentine del Rinascimento nella loro bellezza e splendore, e che fanno anche intravedere l’attenzione di Piero per la pittura fiamminga.

Durante la conferenza il relatore ha mostrato immagini delle opere più famose dei due fratelli, spiegando i particolari e le differenze che si possono rilevare in esse.

Ascoltando il prof ho preso, quasi senza accorgermi, degli appunti che mi sono poi diventati utili per queste mie righe di riflessione.

Ho capito che un’opera d’arte può piacere per la sua bellezza immediata, ma solo attraverso lo studio degli specialisti può rilevare importanti caratteristiche tipiche di ciascun artista.

Lasciando il Palazzo della Gran Guardia ho provveduto a ritirare il dépliant con gli appuntamenti delle prossime conferenze.

Mi sono accorta che la Storia dell’Arte non è né semplice né facile, ma la cosa incomincia a piacermi.

Allegra Ambrosi


Da Segantini al Pollaiolo passando per Abercrombie

Il nonno mi aveva proposto di accompagnarlo a Milano per visitare alcune Mostre nell’ambito di una gita culturale organizzata dagli Amici dei Musei di Verona.
Per essere sincera ero un po’ titubante, ma, con la segreta speranza di riuscire a fare anche un salto da Abercrombie, accettai la proposta.

Ci siamo trovati di buon mattino con tutto il gruppo e siamo partiti per Milano. Il tempo del viaggio in pullmann è trascorso velocemente, anche perché ero immersa nell’ascolto di musica molto attuale.

Arrivati a Milano ci siamo subito diretti al Museo del Duomo, situato in un’ala del Palazzo Reale.
Il Museo del Duomo, recentemente rinnovato nella veste espositiva, non mi ha particolarmente colpita. Vi sono esposte molte statue originali che ornavano la grande chiesa, ora sostituite con copie, e frammenti architettonici della immensa e mai veramente completata costruzione. Non per niente tutto il complesso che da sei secoli ruota attorno alla cattedrale di Milano si chiama “ La fabbrica del Duomo”.
Penso che le ombrose e a volte demoniache figure umane, animalesche o del tutto fantastiche dello stile gotico non rientrino nei miei gusti estetici.

Abbiamo poi visitato al primo piano dello stesso Palazzo Reale la mostra del Segantini, che raccoglie 120 opere del pittore trentino di nascita, ma lombardo-svizzero d’adozione, provenienti da importanti musei e collezioni europee e statunitensi.
Mi sono piaciuti molto i quadri legati alla vita quotidiana e alle tradizioni delle vallate alpine. In particolare un quadro mi ha ricordato una tela che si trova nella mia camera, dipinta da Stefano Bruzzi e che rappresenta una analoga scena campestre con una pastorella e le sue pecore al pascolo.
Sono quadri che riprendono una realtà ormai lontana dalla quotidianità attuale; come se Giovanni Segantini fosse un particolarissimo fotografo di scene e paesaggi che ormai non esistono più.

Nell’intervallo meridiano il nonno è riuscito ad accompagnarmi da Abercrombie, il famoso negozio di abbigliamento di gran moda tra noi ragazzi, e regalarmi una felpa “giusta, troppo giusta!”.

Nel pomeriggio ho visitato il Museo Poldi Pezzoli.
Sono rimasta incantata dall’aristocratica bellezza dei quattro ritratti femminili di profilo dipinti dai fratelli Pollaiolo; ma anche dagli altri straordinari dipinti dei grandi maestri del Rinascimento.
Tutto il Museo è uno scrigno di tesori straordinari, da Botticelli al Perugino; da Giovanni Bellini al Lippi; dal Guardi al Tiepolo e molti altri che hanno scritto la storia dell’arte italiana.

Tra il mattino ed il pomeriggio ho potuto rilevare un certo contrasto tra le opere che sottolineano l’umile vita quotidiana delle Alpi dipinte da Segantini e l’aulicità della vita cortese, rappresentata dalle stupende opere raccolte con grande passione nella sua casa-museo dal mecenate dell’Ottocento milanese Gian Giacomo Poldi Pezzoli.

Sono rientrata a Verona soddisfatta non solo per la “missione” compiuta da Abrcrombie, ma per aver avuto la possibilità di visitare tre mostre cosi diverse tra loro per i contenuti, ma egualmente importanti per quel filo conduttore che è rappresentato dalla Storia dell’arte italiana.

Allegra Ambrosi