Mostre a Milano - 22 gennaio 2022

Il nuovo anno si apre all'insegna delle grandi mostre per gli Amici!

Sabato 22 gennaio la nostra associazione sarà a Milano per una giornata di visite.

Inizieremo al mattino con Grand Tour. Sogno d'Italia da Venezia a Pompei, alle Gallerie d'Italia. Un viaggio emozionante fra opere e oggetti d'arte provenienti da importanti collezioni italiane ed estere per scoprire un’Italia amata e sognata da generazioni di viaggiatori europei che si riconoscevano in una cultura comune di cui proprio il nostro Paese era stato per secoli il grande laboratorio.

Di seguito, visiteremo la mostra Realismo Magico, ospitata a Palazzo Reale e curata da Gabriella Belli e Valerio Terraroli. Una grande esposizione che, a trent'anni di distanza dall'ultima mostra dedicata a questo Movimento, torna a prendere in considerazione una stagione culturale, intellettuale e artistica - quella compresa fra le due guerre mondiali - a lungo negletta e condannata a una sorta di damnatio memoriaema riscoperta in tempi recenti.

Dopo pranzo, ci trasferiremo per vedere la mostra Maurizio Cattelan. Breath Ghosts Blind nella sede del Museo d'Arte Contemporanea Pirelli HangarBicocca e le opere della collezione permanente I Sette Palazzi Celesti 2004-2015, di Anselm Kiefer.

Per informazioni e prenotazioni contattate la nostra Segreteria.


Conferenza “Albrecht Dürer e il Rinascimento italiano”

Ricordiamo che martedì 16 gennaio, alle 17.30, si terrà il quarto incontro delle Conferenze di Castelvecchio.

Il professor Bernard Aikema, ordinario di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università degli Studi di Verona, terrà una lezione intitolata “Albrecht Dürer e il Rinascimento italiano” nel corso della quale verrà presentata la mostra, da lui curata, Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia, che aprirà a Milano a Palazzo Reale il 21 febbraio prossimo.

L’incontro avrà luogo nella Sala Conferenze del Palazzo della Gran Guardia (qui il programma completo), e sarà accessibile gratuitamente sino ad esaurimento dei posti.


La Veneranda Fabbrica del Duomo

Pubblichiamo un omaggio del nostro socio… a Milano, città  in cui  è  nato e a lungo vissuto, e al suo più importante monumento. Invitiamo altri soci a contribuire con loro pensieri e scritti.

Un banco di sabbia con lenti di fango e miliardi di gusci di conchiglie in ottocento milioni e seicento trent’anni si è trasformato nel Duomo di Milano

Dalle Piramidi egiziane in poi, tutte le civiltà hanno voluto lasciare una traccia perenne della loro potenza attraverso l’innalzamento di gigantesche opere architettoniche, alcune delle quali sono giunte fino a noi. Nel bacino del Mediterraneo, dapprima i Greci, poi i Romani, furono costruttori di grandissimo valore, ed ancor oggi possiamo ammirare ciò che rimane di celebri costruzioni sacre e profane che attestano la potenza finanziaria, la capacità tecnica e la disponibilità inesauribile di braccia, più o meno schiavizzate, per realizzare opere imponenti, ma belle, armoniche e soprattutto durature. Sul finire dell’impero romano e nei primi secoli dell’Alto Medioevo le devastanti invasioni barbariche e le lotte fratricide fra grandi e piccoli gruppi armati emergenti nelle località ancora abitate, rallentarono di molto le attività architettoniche, se non per la costruzione di alte torri e fortilizi difensivi. Ma dopo il Mille, con il formarsi oltralpe dei primi abbozzi di organizzazioni politiche unitarie e con la nascente Età Comunale in Italia, riprese il desiderio di costruire cose nuove, parimenti allo sviluppo dei traffici e dei commerci, anche catalizzati dall’avventura delle Crociate. In particolare ogni centro abitato di una certa importanza desiderava onorare il Dio del Cristianesimo, e nel contempo rimarcare la propria rinnovata importanza commerciale e militare attraverso la costruzione di grandi chiese o pievi nello stile Romanico ( o Lombardo o Genovese-Pisano a seconda delle località). Con la loro grande mole e con gli svettanti campanili emergevano dai tetti delle altre costruzioni, quasi sempre di modeste e contenute altezze. Poi dalla Francia e dalla Valle del Reno irruppe il nuovo stile: il Gotico, che nella versione Internazionale esaltava al massimo le linee verticali, con ardite guglie, archi rampanti e contrafforti a sostegno delle altissime pareti delle cattedrali. Il Gotico in Italia, con uno stile Romanico ancora molto diffuso e per il generale utilizzo del cotto al posto della pietra, si addolcì nelle linee e nei virtuosismi architettonici, creando nondimeno degli assoluti capolavori per bellezza ed equilibrio estetico che ancor oggi ammiriamo in moltissime nostre città, nelle Abbazie e nelle solitarie Pievi. Ma nella Milano viscontea del XIV secolo avvenne qualche cosa di molto diverso e straordinario. Già nel 1353 era rovinosamente crollata l’altissima torre campanaria sull’attigua Basilica di Santa Maria Maggiore, la basilica Iemale che, con la vicinissima chiesa di Santa Tecla, la basilica Estiva, occupavano parte dell’area che sarà poi di pertinenza del Duomo. La chiesa venne rapidamente riparata, ma nacque l’idea di sostituire le due chiese con qualcosa di nuovo, unico per dimensioni e ricchezza di marmi e decorazioni. Di chi fu l’idea primigenia? Indubbiamente Gian Galeazzo Visconti, il Conte di Virtù, nonché Vicario Imperiale, nato curiosamente proprio nel 1353, l’anno del crollo del campanile, è nell’anno del Signore 1386 l’assoluto signore di Milano, e pertanto molto intenzionato a glorificare la sua potenza politica dando impulso all’avvio di una ciclopica nuova cattedrale. Essendo arcivescovo di Milano Antonio da Saluzzo, imparentato con il Conte di Virtù, è certo che quest’ultimo abbia elargito i primi finanziamenti e le patenti per dare inizio alla titanica costruzione. In effetti l’idea di una nuova cattedrale è anche di tutta la popolazione milanese, che aderisce entusiasta all’iniziativa, e non solo a parole. Donazioni di ogni tipo giungono alla neonata Fabbrica del Duomo, la struttura (l’impresa diremmo oggi), che per oltre sei secoli ha provveduto sia alla custodia e all’investimento dei denari raccolti, sia alla progettazione della chiesa, al reperimento e al trasporto delle centinaia di migliaia di tonnellate di materiale necessario al cantiere e alla costruzione vera e propria, che si protrasse per quasi cinque secoli, nonché alla continua e assai onerosa e impegnativa manutenzione che non ha soluzione di continuità. Le cronache milanesi di fine Trecento ricordano che oltre ai singoli, si va dal dono di una donnetta della sua pelliccetta logora ai drappi d’oro della Regina di Cipro, tutte le corporazioni cittadine parteciparono con offerte di denaro, di opere e di lavoro gratuito al fine di creare un importante capitale che permettesse il concretizzarsi del desiderio della cittadinanza milanese.

STRATEGIE COSTRUTTIVE

Dopo lunghe ed accesissime discussioni venne stabilito che il Duomo sarebbe stato costruito in stile gotico e vi sono documenti che indicano in Simone da Orsenigo il primo direttore dei lavori; o forse più attendibilmente fu colui che produsse i primi disegni preparatori , con violente dispute tra coloro che volevano affidare la direzione dei lavori a ingegneri tedeschi o francesi, aventi più famigliarità con le architetture gotiche, piuttosto che a tecnici italiani. Ma qui è d’obbligo una comparazione stilistica: il Duomo prende il via nel 1386 e ancora dopo due secoli continua la sua lenta e complessa costruzione, iniziata dall’abside, in stile rigorosamente gotico, perché così era stato stabilito, e così pretendevano i rigidi capomastri francesi e germanici che a tempi alterni si avvicendavano con quelli italiani. Per contro, nel 1396, cioè solo dopo dieci anni, Bernardo da Venezia inizia la celeberrima Certosa presso Pavia, che avrebbe dovuto essere per la gloria eterna la Cappella-Mausoleo dei Visconti. Venne completata in circa un secolo e mezzo (un tempo relativamente breve vista la estrema complessità dell’opera), ma dal punto di vista stilistico risultò una perfetta fusione in chiave lombarda degli stili Gotico e Rinascimentale.

MATERIALI DA COSTRUZIONE E LORO REPERIMENTO

Gian Galeazzo Visconti mise a disposizione della Fabbrica del Duomo una cava di marmo posta sulle alture presso Candoglia nella Bassa Val d’Ossola. Contrariamente alla vulgata, che attribuì a Gian Galeazzo la fama di benefattore a tutto tondo, la Fabbrica del Duomo doveva con denari propri provvedere all’escavazione dei blocchi di marmo e trasportarli fino al cantiere ambrosiano, mentre il Conte di Virtù si riservava di offrire gratuitamente la cava, esentando da qualsiasi gabella i materiali durante il difficile trasporto su fiumi, laghi e canali di sua proprietà. Il marmo di Candoglia è un bellissimo calcare bianco rosato con venature azzurro bluastre. Si è formato circa 800 milioni di anni fa attraverso la metamorfosi di grandi banchi di sabbie chiare, lenti di fanghiglia e conchiglie sottoposte a pressioni e temperature elevatissime per centinaia di milioni di anni. A poco a poco, per spinta tettonica, il banco è risalito in superficie e da circa 200 milioni di anni è a disposizione di chi lo vuole cavare. Dal 1386 ad oggi ne sono state cavate e squadrate in blocchi o lastre almeno 600.000 tonnellate. Si calcola infatti che il Duomo di Milano sia composto da non meno di 300.000 tonnellate di marmo di Candoglia, oltre ad altri marmi preziosi utilizzati per i pavimenti e per altre decorazioni, nonché  100.000 tonnellate di granito di Montorfano impiegato per le fondamenta e lo zoccolo perimetrale. Poiché l’anidride carbonica presente in atmosfera ed altri agenti corrosivi in sospensione aerea attaccano il calcare di Candoglia, ingrigendolo e sfarinandone la superficie, è necessario monitorarlo costantemente, specie per quelle parti esposte agli agenti atmosferici esterni, sostituendo lastre, blocchi, statue e ogni tipo di decorazione lapidea qualora se ne valuti l’opportunità. Si calcola pertanto che attualmente, specie sulla rivestitura esterna del Duomo, non ci sia più alcun blocco originale, essendo stato sostituito da marmo più sano nel tempo. Il Duomo di Milano è un’opera in continuo divenire. Come lo spirito dei milanesi. Ma come hanno fatto questi pesantissimi blocchi di marmo ad arrivare con cronometrica precisione e per cinque lunghi secoli fino al cantiere di Milano? Dalla cava di Candoglia una volta cavato e sbozzato a mano e con il solo uso di scalpelli e di cunei di legno, il blocco scendeva a fondovalle con slitte frenate, mediante piani inclinati (la celebre lizzatura, ancora oggi rievocata ad uso dei turisti nelle cave di Carrara). Raggiungeva il fiume Toce e veniva caricato sulle chiatte che, dapprima sul fiume poi attraverso il lago Maggiore fino a Sesto Calende, si inoltravano lungo il corso inferiore del Ticino e all’altezza di Cascina Castellana (vicino all’attuale aeroporto di Malpensa) entravano nel Naviglio Grande (allora conosciuto come Navigium de Gazano), un canale lungo 50 chilometri scavato tra il 1177 e il 1257 che puntava su Milano. A Milano, giunta la chiatta nei pressi della Basilica di Sant’Eustorgio, a porta Ticinese, per altre vie d’acqua interne “risaliva” per mezzo di chiuse fino al Laghetto, dove oggi c’è via Verziere e piazza Fontana, cioè a meno di duecento metri dal cantiere! Per riconoscere le merci trasportate dalle chiatte esenti da gabelle, venivano contrassegnate dalla scritta A.U.F.O. cioè: “Ad usum fabricae operis. L’espressione “a ufo” è ben presto entrata nel gergo lombardo con un duplice significato: la consuetudine di dare passaggi gratuiti alle persone che dalle località rivierasche del lago, del fiume o del naviglio dovevano recarsi a Milano. Ricordiamo per inciso che ancora sul finire del ‘5oo il cardinal Borromeo utilizzava la stessa via d’acqua quando doveva recarsi dal suo castello di Angera, sul lago Maggiore, a Milano. L’altro significato più popolaresco del detto “a ufo” era ed è ancora oggi riferito all’atto di ottenere furbescamente qualche cosa a titolo gratuito! Immaginiamo la complessità della logistica per rifornire la Fabbrica di marmi in continuazione: erano 120 chilometri di via d’acqua, ed una volta scaricate le imbarcazioni, queste dovevano risalire a Candoglia ( altri 120 chilometri ), trainate controcorrente da cavalli, da bovini o anche da uomini che arrancavano faticosamente sull’alzaia del canale o sulla riva del fiume! Nel frattempo il cantiere avanzava lentamente fra mille difficoltà ed inconvenienti. Nel 1392 in un convegno di “maestri” (gli architetti di allora) quelli tedeschi criticarono aspramente i colleghi italiani per certe soluzioni, da loro ritenute troppo rischiose. Stessa situazione nel 1399 con forti censure da parte del maestro francese Mignot. Ma già ai primi del ‘400 sulla porzione di chiesa già costruita, e cioè, abside, parte del transetto e le prime campate delle cinque navate, viene iniziata la copertura con un originale e mai prima sperimentato tetto, sistemato a falde plurime sovrapposte in marmo. Metodo assai criticato dai goticisti d’oltralpe, ma che ha già sfidato egregiamente sei secoli di vita. Verso il 1415 compaiono le prime lastre dei meravigliosi vetri piombati multicolori. Purtroppo le più belle e antiche vetrate, quelle dei tre grandi finestroni absidali, andarono distrutte all’inizio dell’epopea napoleonica in Italia per pura stoltezza umana. Gli spari a salve delle artiglierie pesanti in onore della festa della Repubblica le infransero, facendole cadere per lo spostamento d’aria. Fra i vari direttori dei lavori del periodo molto fecondo per l’avanzamento dell’opera va ricordato Filippino da Modena che per oltre quarant’anni portò a compimento importanti opere strutturali fondamentali. Nel 1450 mancava ancora la costruzione di sei campate verso la futura facciata, per completare la pianta definitiva del Duomo. Nel 1453 viene demolita la chiesa di Santa Tecla ormai sovrastata dal nascente Duomo, e viene abbattuta per volere di Francesco Sforza la porzione di Arengo che interessava l’area del Duomo. Per capire le difficoltà e le incongruità del tempo va ricordato che ancora a metà ‘400, con le funzioni religiose già celebrate, sia pur a fasi alterne, di primissima mattina i carri degli ortolani per raggiungere il verziere(nei pressi dell’attuale via omonima) attraversavano il cantiere percorrendo.. le attuali navate laterali del Duomo, non essendo ancora stato costruito il sovrastante tiburio! Nel 1487 in piena Era Rinascimentale (nel frattempo prendevano vita a Milano l’Ospedale Maggiore e Santa Maria delle Grazie, capolavori del nuovo stile) iniziava la fase finale della costruzione del tiburio, naturalmente in stile Gotico, sotto la direzione dei grandi Amadeo e Dolcebono. Il tiburio viene completato il 24 settembre 1500 insieme alle quattro bellissime e raffinate grandi guglie, caratterizzate dalle scale a spirale che le avvolgono, di supporto e sostegno al tiburio stesso. Dal 1500 al 1567 grande crisi e fermo lavori per pestilenza, invasioni alemanne e disgrazie varie. Nel 1567 l’architetto Pellegrino dei Pellegrini attua una svolta epocale: abbandona lo stile gotico per passare allo stile rinascimentale. Con Carlo Borromeo cardinale e la Controriforma imperante c’è una maggior libertà stilistica; anzi c’è un caldo invito a progettare nel nuovo stile. Azzardo un’ipotesi: forse il gotico, oltre ad essere uno stile superato, ricordava le molte chiese e cattedrali d’oltralpe passate ai Protestanti. Era nata la nuova linea stilistica che guardava a Roma ed allo stile che vi stava dominando doveva assoggettarsi anche il nascente Duomo di Milano. Dal ‘600 inizia la lunga saga dei progetti per la facciata, già terminata al grezzo di soli mattoni. Un progetto caratterizzato da sei enormi colonne monolitiche in marmo di Candoglia naufraga sul nascere quando il primo monolite si spezza nel tentativo di caricarlo su una grande chiatta. Bernini, interpellato, da dei pareri nel 1651, ma non si sa se vengono messi in pratica. Nel ‘700 si fa poca architettura, ma moltissimi abbellimenti con statue e decorazioni varie. In quel periodo, specie all’interno del Duomo, appaiono le prime opere in stile Barocco. Di quel secolo si possono ricordare le quattro finestre, ancora in stile rinascimentale, sulla facciata. Nel 1765 inizia la costruzione della guglia centrale sotto la direzione di Merlo che termina nel 1769. Nel 1774 arriva a 108 metri di altezza la celebre “Madunina de Milan”, opera del Bini, e dedicata, come tutta la cattedrale, a Santa Maria Nascente. Nel 1806 Napoleone esige il completamento della facciata per la sua incoronazione, e fa redigere in tutta fretta alcuni progetti, per la verità molto modesti. Non se ne fa niente e la facciata come la conosciamo oggi viene completata solo nel 1821, quando per Napoleone il milanese don Lisander pone come incipit alla poesia Cinque maggio l’esclamazione: “Ei fu”. Nel Novecento vengono inaugurate le porte in bronzo in sostituzione dei battenti in legno: la porta centrale è del 1906, mentre le quattro laterali vengono inaugurate tra il 1948 ed il 1965. È rimasto un bozzetto e alcuni particolari di un progetto di Lucio Fontana che avrebbe potuto firmare una delle quattro porte minori, ma fu scartato. Peccato! La Fabbrica del Duomo dopo seicento anni di attività, a volte difficile, a volte frenetica, non ha certo chiuso i battenti con il completamento della cattedrale. La manutenzione di una costruzione così imponente (lunghezza m.158, larghezza m.93, cinque navate alte una cinquantina di metri sostenute da 52 piloni del diametro di m. 3,50 ) esige una continua attività di monitoraggio e di sostituzione di quei blocchi o lastre di marmo di Candoglia che il tempo e l’inquinamento hanno deteriorato. È stato calcolato che il Duomo sia composto di circa 550.000 pezzi di marmo! Ricordo sinteticamente che in Duomo ci sono, oltre alla guglia centrale della Madonnina, altre 134 guglie di varia altezza, 200 altorilievi, centinaia di doccioni e pinnacoli, 3.400 statue di cui 1.100 all’interno e 2.200 all’esterno. La Veneranda Fabbrica del Duomo, il cui Consiglio era composto all’inizio da 105 persone, ma che nel 1395 raggiunsero il numero record di 255 consiglieri, rappresentava fin dalla sua fondazione la più genuina espressione della partecipazione corale di tutta la città di Milano alla costruzione del suo Duomo. Ancor oggi la Fabbrica del Duomo, anche se ovviamente con un numero più ridotto di consiglieri, esprime attraverso la sua attività lo spirito che ebbe fin dalla sua fondazione. Il Duomo è un’opera stilisticamente non purissima, ma che nel complesso sbigottisce ancor oggi il fedele o il semplice turista in visita per la potenza che esprime e non può non far pensare alla immensa fede religiosa che permeò per secoli uomini coraggiosi e determinati. La sistemazione della piazza del Duomo nel 1870 da parte dell’architetto Mengoni non ha certo valorizzato la vista della cattedrale: l’opera si erge ora troppo isolata in una immensa piazza rettangolare formata da architetture eclettiche, monumentali, ma stilisticamente non in armonia . Ben diverso doveva essere lo stato d’animo del visitatore della prima metà dell’Ottocento quando , sbucando dal portico del Figino gli si parava innanzi la mastodontica facciata del Duomo con la fuga di guglie del fianco settentrionale della chiesa. Per fortuna il bravo pittore bresciano Angelo Inganni ci ha lasciato una testimonianza che fa rivivere le sensazioni provate allora. Ma la vista dell’abside del Duomo, la parte architettonica più bella e armonica in assoluto, dal marciapiedi antistante l’Arcivescovado, inquadrando in prospettiva il fianco sud del Duomo, su su fino alla guglia della Madonnina, che pare perdersi nel cielo, è una di quelle immagini che rimangono per sempre impresse nei ricordi del turista o del milanese che semplicemente vi transita per motivi di lavoro. Vorrei concludere con una testimonianza di chi non te lo aspetti. Il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosvelt a Milano nel 1887 alla vista del Duomo esclamò: “Mi dà una sensazione che non ho mai avuto altrove, eccetto tra le montagne selvagge o nelle vaste pinete in cui gli alberi sono molto alti e non troppo vicini”

Giuseppe Perotti


...e dopo il “Te Deum”, si cambi marcia!

Dopo straordinario ritrovamento dei diciassette quadri sottratti al Museo di Castelvecchio la sera del 19 novembre 2015 ha suscitato in tutti gli Amici dei Musei di Verona una grande gioia.
Una liberazione dal senso di cupa oppressione che aveva attanagliato tutti noi.
Il furto, oltre al danno materiale difficilmente quantificabile con gli scarni numeri di una contabilità assicurativa, aveva provocato un senso di umiliazione in coloro che hanno una particolare attenzione per tutto ciò che esprime bellezza e che desiderano venga protetto e conservato per le generazioni future.
È importante ricordare che solo attraverso lo studio e la visione del bello che è stato realizzato nel passato, i nostri discendenti potranno avere una traccia concreta ed un sicuro indirizzo per i loro progetti di vita.
I figli di un Paese senza testimonianze del passato faticano a pianificare il futuro e sono indotti a ripiegare su una fredda sopravvivenza ipertecnologica che si autoalimenta attraverso continui artifici e invenzioni applicative. Tale metodologia però tramuta il presente, “l’attimo fuggente”, in un passato non più utilizzabile, da rottamare.
Un vero spreco di preziose conoscenze.
Ecco perché il ritrovamento dei diciassette capolavori d’arte rubati non deve essere solo una grande gioia per gli Amici dei Musei, che per scelta volontaria sono tutti amanti delle Arti di ogni tipo e di ogni tempo, ma tutta la popolazione dovrebbe partecipare a questo gioioso evento con un interessamento che finora mi è sembrato piuttosto tiepido e distratto.
Per contro, lo scossone provocato da questo drammatico evento potrebbe essere l’occasione per rimeditare sullo stato di fruizione de “Il bello in Italia” da parte di noi italiani, ma anche degli stranieri.
L’Italia, come ha ricordato Andrea Costa in un recente articolo su “Espansione”, da primo Paese al mondo visitato negli anni ’50 del XX secolo, oggi si trova al quinto posto, con un trend calante.
Abbiamo il più alto numero di siti proclamati dall’Unesco in assoluto, ma non abbiamo più le capacità di attrarre turisti interessati alla loro conoscenza.
La scelta in Italia di Paesaggi, Città d’arte, Siti, Musei è per qualità e preziosità sterminata.
Allora perché le statistiche ci ricordano che l’Italia non è più attraente come prima? O meglio, perché l’Italia è rimasta al palo, mentre altri Paesi, concorrenti storici come Francia, Stati Uniti, Spagna, ma anche new entry a vocazione turistica emergente come Cina, Inghilterra, Germania ci stanno superando?
Se delimitiamo la nostra osservazione ai grandi musei italiani non si può non sottolineare che nel corso degli anni le strutture pubbliche ed i politici responsabili del settore abbiano tentato, nei limiti delle disponibilità finanziarie, di migliorare la struttura e la gestione degli stessi.
Ma purtroppo si è quasi sempre trattato di battaglie perse in partenza.
Stato o Enti locali, titolari della gestione dei musei, hanno sempre operato non attraverso interventi radicali e rapidi nel tempo, ma diluendo in tempi biblici interventi parziali e spesso in contrasto tra loro.
Un esempio emblematico: a Milano già negli anni settanta del secolo scorso si parlava della “Grande Brera”, cioè della fruizione di tutto il complesso architettonico braidense, compreso il piano terra, da sempre utilizzato dalla Accademia di Belle Arti, per allestire una grande pinacoteca di dimensioni e respiro mondiale atta ad accogliere degnamente l’incredibile e vasta collezione di dipinti famosi e preziosissimi che compongono tuttora il suo patrimonio.
A tutt’oggi l’Accademia di Belle Arti è ancora lì ed occupa tutti i locali del piano terra. Anzi, sono stati fatti importanti lavori di ristrutturazione e adeguamento per migliorare doverosamente la didattica e lo studio.
E la Pinacoteca, anch’essa oggetto, per la verità, in questi mesi di importanti e meritori lavori di ristrutturazione ed ammodernamento, continuerà a condividere con la celebre Biblioteca Braidense il solo piano superiore del glorioso palazzo milanese, già sede dei Gesuiti.
Un altro esempio di scarso coordinamento: lo scorso anno Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali, con una grande azione meritoria ha nominato venti nuovi direttori di importantissimi musei e siti culturali italiani, scegliendoli anche tra dirigenti di strutture non statali o addirittura provenienti dall’estero.
Un grande passo avanti ed una novità assoluta nella gestione della funzione pubblica.
Mi risulta però che uno di questi, lasciato il più piccolo, ma ben funzionante, museo che dirigeva, giunto nella prestigiosissima nuova sede, sia stato ricevuto da un buon numero di custodi, ma quasi nessun funzionario amministrativo. Evidentemente fino ad allora quella sede era particolarmente considerata per la sua capacità …occupazionale.
Ritornando al nostro più famigliare, ma non meno prezioso, Museo di Castelvecchio, il prossimo ritorno delle diciassette opere ricuperate, dovrà essere l’occasione per ricordare ai veronesi, a volte un po’ dimentichi, che essi vivono letteralmente adagiati su un numero incredibile di bellezze architettoniche, paesaggistiche e museali che pochissime città italiane, ma anche europee, possiedono; e che meritano di essere viste e riviste per meglio conoscere la propria città
Nello specifico, il Museo di Castelvecchio ha avuto l’opportunità, direi anche la fortuna, di essere stato ristrutturato radicalmente nella seconda metà del secolo scorso da un grandissimo architetto, oggi lo proclamerebbero una archistar: il veneziano Carlo Scarpa.
Ma sicuramente lui, homo faber costruttivo e laborioso, avrebbe rifiutato questo ampolloso titolo.
Trasformò una vecchia struttura museale in stile finto gotico, molto danneggiata dagli eventi bellici, dove le opere erano presentate attraverso una monotona e prevedibile sequenza, in una moderna, vibrante e coinvolgente esposizione museale, divenuta ben presto un modello per gli studiosi e gli appassionati di tutto il mondo.
Ancor oggi si vedono gruppi di studiosi, in particolare giapponesi, aggirarsi per il museo, ma anche per la città, per ammirare e analizzare le opere scarpiane di cui Verona si adorna.
Senza addentrarci in esami più approfonditi, basta rammentare la fuga delle cinque sale a piano terra che compongono la Galleria delle Sculture trecentesche per avere l’idea palpabile della grandezza di Carlo Scarpa nell’offrire al visitatore la possibilità di esaminare da vicino ed in modo suggestivo antiche sculture medioevali in marmo che in origine erano collocate in buie chiese e cattedrali molto più in alto e lontane dai fedeli.
Una interpretazione eccelsa, ma rispettosa della museologia.
Ma gli anni passano inesorabilmente e certe soluzioni tecnologiche scelte da Carlo Scarpa negli anni Sessanta del secolo scorso, allora ardite e all’avanguardia, sono oggi irrimediabilmente superate.
Gli stessi bellissimi accordi cromatici scelti da Carlo Scarpa per sottolineare ed esaltare l’architettura della Galleria delle Sculture, dal verde pallido dei soffitti in contrasto con il grigio cemento dei pavimenti, al bianco delle pareti, al rosa della pietra di Prun, con gli anni si sono notevolmente affievoliti.
Lo stesso progettista se fosse ancora tra noi sarebbe il primo a suggerire nuove più ardite e soddisfacenti soluzioni.
Il museo fu concepito per essere visitato nelle ore diurne, e quindi l’architetto diede massima importanza all’illuminazione naturale e alla collocazione delle opere in funzione della posizione delle finestre, previste con vetrate non schermate da tendaggi di alcun tipo.
Ma oggi il museo resta aperto al pubblico fino a sera, e a volte anche fino alle ore più tarde.
La qualità del pubblico è mutata e soprattutto la sua consistenza: è quindi opportuno e necessario adeguare molte strutture accessorie alle nuove esigenze.
Tralascio per ora di soffermarmi sull’ingrandimento, o il totale rifacimento, della sala di ingresso, della biglietteria, del book shop, dei servizi, per non parlare dell’inesistente caffetteria.
Ma suppongo che almeno l’illuminazione artificiale delle sale di esposizione potrebbe essere ammodernata con una certa urgenza.
Nella Galleria delle Sculture le piantane in ferro che sostengono le fonti luminose, disegnate da Carlo Scarpa sono un degno corollario alle sculture medioevali, perfettamente in linea con lo stile voluto dal Maestro.
Ma nel trascorrere di mezzo secolo le lampadine a incandescenza in vetro trasparente con filamento di tungsteno, che fornivano una luce calda giallo-rosata, sono state sostituite, credo anche per problemi di risparmio energetico, con sfere LED che emanano una luce freddissima (non meno di 5500 gradi Kelvin), che snaturano completamente il quadro ambientale cromatico, penalizzando il godimento visivo delle suggestive sculture, nate per essere viste al lume di candela dei luoghi sacri.
Un miglioramento dell’illuminazione della Galleria, reso possibile dagli enormi progressi fatti dall’illuminotecnica, che nell’ultimo decennio ha offerto soluzioni nuove ed ottimali a costi sempre più decrescenti, potrebbe rivitalizzare e rendere più attraente la sua visita.
Tralascio la descrizione delle plafoniere con …tubi al neon (poi sostituiti con tubi fluorescenti), che Carlo Scarpa adottò per le sale della pinacoteca al primo piano, essendo allora quanto di più moderno offriva l’industria dell’illuminazione.
Oggi la disponibilità di piccoli spot e di faretti alogeni o led (gli stessi che i bravissimi allestitori di mostre temporanee utilizzano già da tempo e su larga scala), potrebbero rendere più affascinanti e godibili le importanti e suggestive opere pittoriche e murali esposte nella Galleria al primo piano.
Giova ricordare che il Comune di Verona ha in attività operativa un Servizio allestimenti e manutenzione dei musei civici con valentissimi e capaci dirigenti e operatori che sono certamente in grado di progettare e realizzare migliorie di questo tipo.
Sono piccoli, ma fondamentali interventi a costi ragionevoli che il Comune di Verona, gioioso per l’insperato ritrovamento dei suoi diciassette capolavori rubati la sera del 17 novembre 2015, non si negherà certamente, offrendoli alla cittadinanza come riparazione morale alle inquietudini patite negli ultimi sei mesi.
Un gesto meritorio che avrebbe certamente una positiva eco, anche a livello internazionale.
Per richiamare infine più turisti qualificati in Italia, c’è tutto un altro discorso da fare, che coinvolge non tanto le singole città, come Verona, ma soprattutto le grandi Centrali Nazionali preposte a ciò.
Ma questa è un’altra storia.
Mi riprometto di parlarne in una prossima conversazione.

Giuseppe Perotti


Attività della primavera 2016

Cari Amici e gentili Amiche,

vi comunichiamo le prossime attività.

VENERDÌ 15 APRILE, ORE 15 – VERONA, SEDE DELLA BANCA POPOLARE DI VERONA

Accompagnati da Alba di Lieto e Ketty Bertolaso del Museo di Castelvecchio visiteremo la piccola mostra da loro allestita nella sede del Banco Popolare sulle recenti donazioni di 5 disegni di Carlo Scarpa da parte di Clotilde Venturi Scarazzai e Valter Rossetto, nostri cari Soci.
Nell’occasione con gli architetti Valter Rossetto e Stefano De Franceschi potremmo vedere anche alcune zone del progetto di Scarpa e il restauro delle facciate del cortile interno.

 

 SABATO 14 MAGGIO – MILANO: LA MOSTRA SU BOCCIONI E LA PINACOTECA DI BRERA

Al mattino, a Palazzo Reale, vedremo la mostra “Umberto Boccioni 1882-1916. Genio e memoria” curata da Francesca Rossi, che molti di voi ricorderanno per aver a lungo operato al Museo di Castelvecchio, una grande Amica della nostra associazione. Francesca Rossi, oggi responsabile conservatore del Gabinetto dei Disegni al Castello Sforzesco, da cui provengono molti dei disegni esposti nella mostra che celebra l’artista del Futurismo a cento anni dalla morte, ci accompagnerà nella visita.

Nel pomeriggio, dopo il pranzo libero, nella Pinacoteca di Brera vedremo il “Primo dialogo tra Raffaello e Perugino attorno a due Sposalizi della Vergine”.

A presto!


Conferenze di Castelvecchio 2015-2016

Martedì 13 ottobre, alle 17.30 si aprirà l’edizione 2015-2016 delle conferenze del Museo di Castelvecchio, organizzate come ogni anno anche grazie al sostegno degli Amici.

Le conferenze si terranno il martedì, alle 17.30, nella Sala Conferenze del Palazzo della Gran Guardia secondo il calendario riportato di seguito e nel programma allegato, e saranno accessibili gratuitamente sino ad esaurimento dei posti disponibili.

Quello di quest’anno è un programma particolarmente ricco e vario, che spazia dalla presentazione di mostre prestigiose attualmente in corso alla celebrazione di una ricorrenza significativa quale il cinquecentenario della morte di Aldo Manuzio, all’illustrazione dei lavori per la riqualificazione e il nuovo allestimento del Museo Archeologico al Teatro Romano.
L’impegno del Comune di Verona – Direzione Musei d’Arte e Monumenti per il restauro e il riallestimento del Museo degli Affreschi e del Museo Archeologico trova confronto in due casi di grande interesse – la Crypta Balbi di Roma e il Museo Egizio di Torino – per il tema della valorizzazione dei siti museali e archeologici.
Nelle altre conferenze vengono introdotte altre tematiche quali la figura di un grande storico e critico d’arte e di un famoso collezionista. Chiudono due interventi dedicati alla scultura.

Un attestato di frequenza, con obbligo di firma, viene rilasciato a fine corso, come credito formativo, ai docenti di Educazione artistica, di Storia dell’Arte, agli studenti delle ultime classi degli Istituti Superiori, agli allievi dell’Accademia di Belle Arti e del corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali – Università di Verona, e a chiunque ne faccia richiesta.

 

PROGRAMMA DELLE CONFERENZE 2015-2016

martedì 13 ottobre 2015, ore 17.30

Giotto in mostra a Milano. L’avventura espositiva e il rapporto con gli studi
Serena Romano
Università degli Studi di Losanna

martedì 3 novembre 2015, ore 17.30

Aldo Manuzio, le arti, il libro. Il Rinascimento di Venezia.
Guido Beltramini
Centro Internazionale di Studi Andrea Palladio, Vicenza

martedì 15 dicembre 2015, ore 17.30

Il Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona: storia e recente riqualificazione
Margherita Bolla
Direzione dei Musei d’Arte e Monumenti, Comune di Verona

martedì 12 gennaio 2016, ore 17.30

La Crypta Balbi: a proposito della valorizzazione di siti e monumenti.
Daniele Manacorda
Università degli Studi Roma Tre

martedì 2 febbraio 2016, ore 17.30

1824-2015: Museo Egizio. Nuove connessioni e contestualizzazione archeologica.
Christian Greco
Museo Egizio di Torino

martedì 23 febbraio 2016, ore 17.30

Rodolfo Pallucchini: un maestro della storia dell’arte fra impegno accademico e militanza culturale.
Giuliana Tomasella
Università degli Studi di Padova

martedì 15 marzo 2016, ore 17.30

Le gioie del collezionista. J. Paul Getty e il suo museo.
Davide Gasparotto
J. Paul Getty Museum in Los Angeles

martedì 5 aprile 2016, ore 17.30

Le tombe dei dogi veneziani, dal 1355 al 1413.
Silvia D’Ambrosio
Università degli Studi di Verona

martedì 26 aprile 2016, ore 17.30

Un artista di corte nel Trecento padano: Bonino da Campione.
Laura Cavazzini
Università degli Studi di Trento


Mantovarchitettura al Museo di Castelvecchio

Sabato 9 maggio, alle ore 10.30, nella Sala Boggian del Museo di Castelvecchio avrà luogo la conferenza

«Scarpa, Albini, BBPR: il futuro dei musei della ricostruzione»

curata da Filippo Bricolo, architetto e professore presso il Politecnico di Milano, nell’ambito della manifestazione Mantovarchitettura, un programma di mostre, lezioni, seminari e convegni organizzato dal Polo di Mantova del Politecnico di Milano nell’ambito del progetto scientifico della Cattedra Unesco “Architecture Preservation and Planning in World Heritage Cities“.

Il recente spostamento della Pietà Rondanini di Michelangelo dalla storica sistemazione dei BBPR della sala degli Scarlioni nel Castello Sforzesco di Milano, offre lo spunto per aprire una profonda riflessione sulla tematica della conservazione degli allestimenti realizzati durante una grande stagione della museografia italiana.

La giornata di studi, ponendo a confronto quanto accaduto all’interno di tre delle più significative realizzazioni museografiche del secondo dopoguerra, si interroga sul futuro dei musei della ricostruzione.

I calibrati interventi di conservazione e i puntuali ampliamenti del Museo di Castelvecchio di Verona realizzati dopo la morte di Carlo Scarpa, il restauro del Museo del Tesoro di Franco Albini nella cattedrale di San Lorenzo a Genova e la complessa ed emblematica vicenda legata all’allestimento dei Musei del Castello Sforzesco di Milano realizzato dai BBPR, diventano un punto di partenza per un confronto sulla possibilità di coniugare le giuste esigenze di adeguamento funzionale dei musei realizzati negli anni ‘50-’60, con la conservazione delle più significative testimonianze superstiti della museografia italiana.

Il convegno è organizzato in collaborazione tra il Comune di Verona / Cultura / Musei d’Arte Monumenti, il Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Mantova e l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona.

L’aperitivo sarà offerto dalla Cantina Gorgo, Custoza, Verona.

Qui il programma completo di Mantovarchitettura.


I due fratelli Pollaiolo

Sono stata recentemente a Milano con gli Amici dei Musei per visitare alcune collezioni d’arte. La cosa che più mi ha colpito in quella giornata sono state le “Quattro Dame” del Pollaiolo esposte al Museo Poldi Pezzoli.

Casualmente mi è caduto l’occhio sulla notizia di un ciclo di conferenze che si stanno per tenere al Palazzo della Gran Guardia, tra le quali una dedicata ai fratelli Pollaiolo.

Ho approfittato quindi della disponibilità del nonno ad accompagnarmi alla prima di queste conferenze.

Martedì 27 gennaio infatti ci siamo recati alla Gran Guardia per assistere alla conferenza sul Pollaiolotenuta dal prof. Aldo Galli.

Per curiosità va ricordato che Pollaiolo non era il loro vero cognome; ma un soprannome derivante dal fatto che il loro padre era un commerciante di …polli!

Dei due fratelli, Antonio era maggiore di circa dieci anni rispetto al fratello Piero, ed era un artista geniale come orafo, architetto ed anche pittore, ma soprattutto scultore grandissimo.

In questo settore utilizzò il bronzo, l’argento, la terracotta e perfino il sughero. Comunica ad esempio una forte emozione il Cristo in croce da lui modellato in sughero per renderlo più leggero e idoneo ad essere portato a braccia in processione. Ora si trova in San Lorenzo a Firenze ed è un’opera di grande realismo nella quale l’artista immortala con intensa drammaticità il Cristo che esala l’ultimo respiro.

Piero, che inizialmente fu visto solo come un collaboratore del fratello nell’arte della scultura, è il vero pittore della coppia Pollaiolo.

L’eleganza della sua pittura è ben visibile nei magnifici dipinti delle “Dame”, che ritraggono quattro profili di fanciulle fiorentine del Rinascimento nella loro bellezza e splendore, e che fanno anche intravedere l’attenzione di Piero per la pittura fiamminga.

Durante la conferenza il relatore ha mostrato immagini delle opere più famose dei due fratelli, spiegando i particolari e le differenze che si possono rilevare in esse.

Ascoltando il prof ho preso, quasi senza accorgermi, degli appunti che mi sono poi diventati utili per queste mie righe di riflessione.

Ho capito che un’opera d’arte può piacere per la sua bellezza immediata, ma solo attraverso lo studio degli specialisti può rilevare importanti caratteristiche tipiche di ciascun artista.

Lasciando il Palazzo della Gran Guardia ho provveduto a ritirare il dépliant con gli appuntamenti delle prossime conferenze.

Mi sono accorta che la Storia dell’Arte non è né semplice né facile, ma la cosa incomincia a piacermi.

Allegra Ambrosi


Da Segantini al Pollaiolo passando per Abercrombie

Il nonno mi aveva proposto di accompagnarlo a Milano per visitare alcune Mostre nell’ambito di una gita culturale organizzata dagli Amici dei Musei di Verona.
Per essere sincera ero un po’ titubante, ma, con la segreta speranza di riuscire a fare anche un salto da Abercrombie, accettai la proposta.

Ci siamo trovati di buon mattino con tutto il gruppo e siamo partiti per Milano. Il tempo del viaggio in pullmann è trascorso velocemente, anche perché ero immersa nell’ascolto di musica molto attuale.

Arrivati a Milano ci siamo subito diretti al Museo del Duomo, situato in un’ala del Palazzo Reale.
Il Museo del Duomo, recentemente rinnovato nella veste espositiva, non mi ha particolarmente colpita. Vi sono esposte molte statue originali che ornavano la grande chiesa, ora sostituite con copie, e frammenti architettonici della immensa e mai veramente completata costruzione. Non per niente tutto il complesso che da sei secoli ruota attorno alla cattedrale di Milano si chiama “ La fabbrica del Duomo”.
Penso che le ombrose e a volte demoniache figure umane, animalesche o del tutto fantastiche dello stile gotico non rientrino nei miei gusti estetici.

Abbiamo poi visitato al primo piano dello stesso Palazzo Reale la mostra del Segantini, che raccoglie 120 opere del pittore trentino di nascita, ma lombardo-svizzero d’adozione, provenienti da importanti musei e collezioni europee e statunitensi.
Mi sono piaciuti molto i quadri legati alla vita quotidiana e alle tradizioni delle vallate alpine. In particolare un quadro mi ha ricordato una tela che si trova nella mia camera, dipinta da Stefano Bruzzi e che rappresenta una analoga scena campestre con una pastorella e le sue pecore al pascolo.
Sono quadri che riprendono una realtà ormai lontana dalla quotidianità attuale; come se Giovanni Segantini fosse un particolarissimo fotografo di scene e paesaggi che ormai non esistono più.

Nell’intervallo meridiano il nonno è riuscito ad accompagnarmi da Abercrombie, il famoso negozio di abbigliamento di gran moda tra noi ragazzi, e regalarmi una felpa “giusta, troppo giusta!”.

Nel pomeriggio ho visitato il Museo Poldi Pezzoli.
Sono rimasta incantata dall’aristocratica bellezza dei quattro ritratti femminili di profilo dipinti dai fratelli Pollaiolo; ma anche dagli altri straordinari dipinti dei grandi maestri del Rinascimento.
Tutto il Museo è uno scrigno di tesori straordinari, da Botticelli al Perugino; da Giovanni Bellini al Lippi; dal Guardi al Tiepolo e molti altri che hanno scritto la storia dell’arte italiana.

Tra il mattino ed il pomeriggio ho potuto rilevare un certo contrasto tra le opere che sottolineano l’umile vita quotidiana delle Alpi dipinte da Segantini e l’aulicità della vita cortese, rappresentata dalle stupende opere raccolte con grande passione nella sua casa-museo dal mecenate dell’Ottocento milanese Gian Giacomo Poldi Pezzoli.

Sono rientrata a Verona soddisfatta non solo per la “missione” compiuta da Abrcrombie, ma per aver avuto la possibilità di visitare tre mostre cosi diverse tra loro per i contenuti, ma egualmente importanti per quel filo conduttore che è rappresentato dalla Storia dell’arte italiana.

Allegra Ambrosi


Attività di fine anno 2014

Cari Amici e gentili Amiche,

vi comunichiamo le ultime visite e le conferenze per l’anno in corso.

Giovedì 27 novembre, ore 17.30 – Verona – Palazzo della Gran Guardia, Sala Conferenze

Seconda conferenza del ciclo Castelvecchio Conferenze 2014 dal titolo “Veronese e Padova. L’artista, la committenza e la sua fortuna”, con Davide Banzato, Direttore dei Musei Civici agli Eremitanidi Padova.

Sabato 29 novembre – Milano

Al mattino, visiteremo il Museo del Duomo, situato in un’ala di Palazzo Reale, aperto da pochi mesi con un suggestivo e interessante allestimento che percorre la storia plurisecolare della Fabbrica del Duomo di Milano.

Quindi nelle sale espositive di Palazzo Reale, visiteremo “Segantini. La mostra”. Per Giovanni Segantini Milano fu la principale città di riferimento: un’intera sezione della mostra è dedicata agli esordi milanesi del pittore che con il suo ingresso all’Accademia di Brera diede via a un promettente e fecondo percorso artistico. L’esposizione è formata da una nutrita raccolta di lavori provenienti da importanti istituzioni museali europee e statunitensi, a cominciare ovviamente dal Museo Segantini di St. Moritz.

Dopo la mostra ci trasferiremo alle Gallerie d’Italia, in piazza della Scala, dove, prima della visita libera, potremo pranzare alla caffetteria.

Le Gallerie d’Italia, ospitate in un prestigioso complesso architettonico situato nel cuore di Milano, propongono circa 400 opere d’arte tra Ottocento e Novecento, accompagnando il visitatore in un percorso espositivo che attraversa due secoli di arte italiana, da Canova a Boccioni, dal Neoclassicismo agli albori del Futurismo, provenienti dalle raccolte della Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo. La visita alle Gallerie di Piazza Scala offre inoltre l’occasione di scoprire un insieme unico di palazzi storici di proprietà di Intesa Sanpaolo, allestiti e trasformati in spazi espositivi grazie al sapiente intervento dell’architetto Michele De Lucchi: Palazzo Anguissola, con le splendide decorazioni neoclassiche negli interni; l’infilata di sale di Palazzo Brentani, che rievocano il clima salottiero delle dimore ottocentesche; il contesto liberty del palazzo di primo Novecento sede storica della Banca Commerciale Italiana.

Nel pomeriggio, alle ore 16.30, visiteremo la mostra “Le dame dei Pollaiolo: una bottega fiorentina del Rinascimento”, al Museo Poldi Pezzoli.

Questa straordinaria mostra ruota intorno al simbolo del museo: il celebre ritratto di giovane donna dipinto da Piero del Pollaiolo intorno al 1470, considerato uno dei massimi capolavori della ritrattistica fiorentina del Rinascimento. La mostra si propone di mettere in luce il talento a tutto tondo dei fratelli Pollaiolo, così come la diversità di tecniche sperimentate nella loro bottega.

Lunedì 1 dicembre, ore 20 – Cena degli auguri di Natale

Il nostro incontro per gli auguri di Natale si terrà anche quest’anno al Ristorante Vittorio Emanuele, in piazza Bra.

Giovedì 11 dicembre, ore 17.30 – Verona – Palazzo della Gran Guardia, Sala Confernze

Terza e ultima conferenza del ciclo Castelvecchio Conferenze 2014 dal titolo “Il segno grafico per il colore. Veronese inciso, con Giuliana Ericani, Direttrice del Museo Civico di Bassano.

 

Vi attendiamo numerosi ai nostri incontri!