A spasso con il nonno per la Toscana

Ho accettato volentieri di fare un tour automobilistico per la Toscana con il nonno perché avrei avuto l’opportunità di visitare Arezzo, una città fondamentale per la storia dell’arte, ma un po’ defilata dai consueti circuiti turistici che insistono soprattutto su Firenze, Siena e… la Piazza dei Miracoli a Pisa.

Giunti in città di buon mattino, essendo partiti dalla costa versiliese, abbiamo dapprima attraversato un quartiere residenziale di stampo otto-novecentesco, non esaltante, ma molto ordinato, caratterizzato nella omonima piazza dalla statua di Guido Monaco, quel frate medioevale che riordinando in chiave razionale la scrittura musicale permise a musicisti europei di primeggiare, da lì in poi, e per sempre, sulle altre espressioni armoniche di altri continenti.
Ma ecco che percorse poche decine di metri di una strada medioevale in leggera salita, una piazza sulla destra mi rivela la facciata incompiuta della chiesa di San Francesco.

Apparentemente rustica, perché di essa vediamo solo la struttura grezza in cotto del XIII secolo che avrebbe dovuto supportare il rivestimento lapideo, risulta comunque elegante e suggestiva. Mi viene spontaneo il confronto con certe soluzioni strutturali di Mario Botta, un moderno discendente dei Maestri Comacini.

Presso l’Accademia di Architettura della Svizzera Italiana di Mendrisio, dove sto frequentando il secondo anno di corso, ho avuto infatti la possibilità di verificare come questo grande maestro (non vuole che lo si qualifichi come archistar), nella progettazione si ispiri, in chiave attuale, alle strutture più significative del passato,quando venivano valorizzati materiali poveri come il legno, il mattone, la pietra.

Ma entrati in chiesa cambia totalmente la scena.

Rinviando il commento su bellissime tavole lignee trecentesche appese alle pareti ed altrettanto suggestive porzioni di affreschi salvate da un sapiente restauro, l’attenzione è subito calamitata dalla Cappella Maggiore interamente affrescata da Piero della Francesca attorno al 1450.

Sono davanti al ciclo di affreschi conosciuto come La leggenda della croce. Uno dei capitoli basilari della storia della pittura di ogni tempo.
Se Giotto aveva rivoluzionato la pittura, superando la staticità delle figure ritratte in epoche precedenti, forse un retaggio del mondo bizantino, Pietro ci introduce nel non ancora ben codificato Rinascimento.

Il recente perfetto restauro, esaltando la vivace cromaticità, ci fa gustare scene religiose (ma che potrebbero rappresentare anche scorci della vita delle Corti del tempo) dove la postura e l’espressione di ogni personaggio richiamano precisi canoni filosofici neoplatonici, esaltati dalla cultura del tempo.

Si resta attoniti e ammirati davanti alla perfetta costruzione delle scene ed alle espressioni decise, quasi imperiose di certi personaggi.

Piero vale da solo un viaggio ad Arezzo.

Ma il nonno già conosceva bene la città, e attraverso strade e stradine mi ha condotta a scoprire all’improvviso la stupefacente facciata della Pieve di Santa Maria.

Una vasta parete rettangolare in arenaria aretina, una pietra tenera di tonalità giallo azzurrognola, ormai esaurita da molti anni, che per la corrosione del tempo presenta disegni irregolari e caratteristici. Ma la bellezza architettonica della facciata è esaltata da una serie di gallerie cieche sovrapposte , che alleggeriscono l’imponente struttura, facendola assomigliare più ad un antico palazzo imperiale  che ad una Pieve consacrata.

Oltre un centinaio di sottili colonnine, tutte diverse tra loro, e così pure i capitelli e gli archetti che le sovrastano. Una meraviglia assoluta!

Non si può non ricordare quelle incredibili compagnie di piccapietra medioevali, che pur nell’unicità dell’opera compiuta avevano la facoltà di creare il singolo pezzo con proprie varianti al disegno d’insieme.
Alle spalle della Pieve la celebre Piazza Grande, dove si svolge annualmente la Giostra del Saracino e mensilmente una mostra-mercato dell’antiquariato.

Ma io ho soprattutto ammirato nella piazza la bellissima abside della Pieve, con accanto il sontuoso palazzo della Fraternità dei Laici, con un’ala in stile gotico accanto a quella rinascimentale.
Molto belle ed equilibrate le case trecentesche sul terzo lato della piazza, sulle cui facciate emergono le pietre di antichi archi gotici o finestrelle rinascimentali dovute a successivi rimaneggiamenti. Un compendio dell’architettura italiana su un grumo di case abitate ininterrottamente da almeno settecento anni!
La severa ma molto equilibrata  Loggia del Vasari racchiude la piazza nella parte alta.

Sì, perché il Vasari era nato ad Arezzo, ed anche lì creò opere belle ed importanti.

Saliti fino al Pratone, il giardino pubblico al sommo della collina su cui giace Arezzo antica, abbiamo visitato il grande e molto suggestivo Duomo in stile gotico (a parte l’alto campanile: gotico si, ma del XIX secolo….).

Disceso il colle per stradine alle spalle del Duomo, in un quartiere appartato e silenzioso, in fondo ad una piazza selciata in cotto e ben ombreggiata da grandi alberi, sorge per incanto una piccola meraviglia gotica: la chiesa di San Domenico, caratterizzata da una facciata che ingloba sulla destra un bel campaniletto a vela con doppia cella campanaria.

All’interno, una navata unica decorata da affreschi di scuola locale, molto severa e ricca di spiritualità, l’occhio viene attratto da un grande crocifisso posto nella penombra sopra l’altar maggiore. Con l’accensione dell’illuminazione elettrica temporizzata si scopre una sublime opera di Cimabue!

Uno dei suoi famosi crocifissi, forse non il più noto, ma una grandissima opera che rivela la forte religiosità del pittore espressa attraverso la rappresentazione del corpo del Cristo contorto per le sofferenze inflitte dai carnefici.

Per non farmi mancar niente il nonno nel viaggio di ritorno, approfittando di un mio pisolino, ha fatto una non prevista uscita dall’autostrada a Pistoia.
Una visita molto breve al centro della città ci ha rivelato una struttura medioevale stupenda e ben conservata, con una piazza del Duomo tra le più belle della Toscana, e chiese che conservano opere scultoree medioevali di unica bellezza, tra cui due di Giovanni Pisano!

Sarà opportuna una più profonda visita a Pistoia, anche perché, udite udite, neppure il nonno  conosceva questa città toscana.
Il tour si è concluso nel tardo pomeriggio, dopo una lunga ricerca per stradine comunali attorno al Monte Pisano della Certosa di Calci, conosciuta anche come Certosa di Pisa.

Un complesso monastico veramente grandioso di origine medioevale, ma interamente ristrutturato nel Sei-Settecento, con grandi costruzioni e chiese, intervallate da corti e giardini interni posto in una valletta silenziosa ed appartata ai piedi del Monte Pisano, a pochi chilometri da Pisa

Purtroppo  era una giornata interdetta alle visite, per cui in una prossima comunicazione vi racconterò sia delle bellezze di Pistoia sia della Certosa di Calci, a meno che il nonno tragga dal cappello qualche visita ad un terzo sito importante,ma ancora sconosciuto alle carte geografiche.

 

Carlotta Paolucci delle Roncole


La scoperta di un’Italia nascosta

Quando si sente citare la Romagna inevitabilmente il nostro inconscio ci porta alle spiagge di Rimini o al viale Ceccarini di Riccione, con annesse piadina e musica popolare.
I più eruditi possono andare col pensiero all’Amarcord di Federico Fellini o a Leon Battista Alberti e la sua incompiuta opera maltestiana.
Anche la bellissima e molto visitata Ravenna è Romagna; anzi, con Cesena fu una delle sue capitali.
Ma Ravenna è là, acquattata tra acqua e cielo; celata dal velo della sua irripetibile storia millenaria.
Una Romagna che non sembra più Romagna: è Ravenna tout court.
Ma c’è anche un’altra Romagna, ricca di antiche città e borghi accoglienti che gli italiani, con l’utilizzo universale della rete autostradale per gli spostamenti, hanno completamente dimenticato o ignorano del tutto.
Ricordo ancora quando attorno al 1955/60 con la mia famiglia ci sorbivamo 360 chilometri di via Emilia, oltre ad un breve tratto di Adriatica, per raggiungere Pesaro da Milano.
Era un viaggio di sette-otto ore, che ogni mezz’ora circa veniva rallentato dal piacevole attraversamento della quindicina di città emiliane e romagnole che punteggiano la via consolare.
Attraversamento urbano che avveniva naturalmente sul tracciato rettilineo della Via Emilia; quelle stesse strade dei centri storici che oggi sono interdette alle auto, essendo ormai riservate al traffico pedonale e ciclistico. Le circonvallazioni (quando c’erano) erano destinate al traffico pesante.
Ricordo che all’attraversamento di Faenza, mio padre, sempre seduto al mio fianco per meglio godersi il paesaggio, esprimeva la sua meraviglia per i bellissimi e nobili palazzi secenteschi e neoclassici che facevano ala all’antica via consolare.
Giunti all’altezza della Torre dell’Orologio esclamava: “ Qui a Faenza c’è il più importante museo italiano delle ceramiche; una volta ci dovremo fermare e andare a visitarlo”
Ma arrivarono le autostrade e purtroppo quella occasione non venne mai.
Ora finalmente sono riuscito a visitarlo con gli Amici dei Musei, dopo circa sessant’anni.
Ma questa è un’altra storia, anche perché la visita è stata breve, non programmata, ricavata in un ritaglio di tempo tra la visita a Palazzo Milzetti ed il rientro a Verona.
È comunque un Museo strepitoso, ricchissimo di preziose opere italiane e del Mondo; un Museo completamente rinnovato da poco tempo in maniera egregia e razionale.
Una meta alla quale gli Amici dei Musei di Verona non potranno rinunciare, con un viaggio ad hoc.
Vorrei qui sottolineare come in occasione delle visite al mattino al Museo San Domenico di Forlì dove è allestita la bella mostra “Piero della Francesca,indagine su un mito” e al pomeriggio a Palazzo Milzettidi Faenza, sede del “Museo nazionale dell’età neoclassica in Romagna”, la nostra ottima accompagnatrice Anna Chiara Tommasi sia riuscita a ritagliare uno spazio temporale di poco più di un’ora per visitare “a piedi” corso Mazzini di Faenza, cioè il tratto cittadino più nobile dell’antica Via Emilia .
Questa passeggiata è stata la vera chiave di volta per poter cogliere, sia pur fuggevolmente, lo spirito e la cultura del luogo!
Ci siamo subito accorti che la città , di chiara origine consolare romana, ebbe già nel Medioevo una sua nobiltà ed importanza, in quanto i Manfredi, signori locali, favorirono gli scambi culturali non solo con le altre città romagnole ed emiliane, ma anche con la Toscana.
Va tenuto presente che la Toscana, anche con la ripartizione amministrativa oggi vigente, dista, con la città di Marradi, solo trenta chilometri da Faenza; che è del resto la stessa distanza che la separa da Ravenna e quindi dal mare.
Sicuramente la città fu sempre un crocevia di commerci e di culture in ogni epoca storica.
Ma la fortuna commerciale di Faenza è da quasi mille anni incentrata soprattutto sulla produzione delle terrecotte e delle ceramiche.
Dalle grandi cave di terra argillosa della zona nasce la terracotta con la quale ancor oggi vengono prodotti laterizi di forma e fogge diverse per l’edilizia.
Ma l’argilla , attraverso la sua manipolazione in forme e fogge artisticamente elaborate viene dapprima trasformata nel forno in terracotta, poi, opportunamente decorata da artigiani e artisti, viene ricotta e infine vetrificata attraverso vernici a base di sali di stagno che, dopo una ulteriore ricottura, rivestono il manufatto, raggiungendo la consistenza e la trasparenza del vetro: sono le celebri maioliche note in tutto il mondo con il nome di “faiences” dal nome della città che per prima le produsse.
Ecco perché sulla piazza principale della cittadina, piazza della Libertà, spicca una sontuosa Cattedrale rinascimentale, iniziata attorno al 1470 e portata a compimento nelle fattezze attuali attorno al 1510, degna di una città d’arte di ben altre dimensioni!
Se la facciata, di grande valore architettonico, è rimasta incompiuta, l’arioso interno richiama nel disegno morbido e luminoso le opere fiorentine del Brunelleschi.
Per non parlare delle numerose cappelle laterali gentilizie con decorazioni, altari ed arche marmoree di grandissimo valore.
Anche il ‘600 fu un secolo importante per Faenza: ne è testimonianza il gigantesco e severo palazzo Mazzolani, oggi in attesa di un restauro per poter ospitare (quando non si sa) il Museo Archeologico e ed un notevole Galleria d’arte moderna comunale, per ora custodita in altra sede cittadina.
Ma la piacevole scoperta e l’unicità di Faenza tra le città d’arte minori (ma solo per le dimensioni) è nel numero e nella qualità architettonica di palazzi e palazzetti in stile neoclassico che adornano le vie principali, ma anche i vicoletti, del centro storico.
Spicca su tutti il palazzo Milzetti, visitato dagli Amici di Verona, per la bellezza e la completezza degli affreschi e delle decorazioni, oltre agli arredamenti originali dell’epoca, tanto da essere divenuto sede delMuseo nazionale dell’Età Neoclassica in Romagna.
Molti furono gli artisti (architetti, decoratori, ebanisti) che contribuirono a far bella Faenza in età neoclassica.
Fra tutti spiccano gli architetti Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antonio Antolini e soprattutto il decoratore Felice Giani che proprio nel palazzo Milzetti creò la summa dei suoi capolavori.
Il Giani, nato nel tortonese, dopo gli studi ed il perfezionamento in diverse Accademie italiane, creò una grande e affollata Bottega, quasi di tipo rinascimentale, che gli permise in quarant’anni di intensa attività di decorare con opere di assoluto valore le facciate, i saloni, i porticati e gli scaloni di numerosissime residenze dell’Emilia e della Romagna.
Oltre a Faenza, sue opere si trovano anche a Bologna, Cesena, Ferrara, Parma e Ravenna.
Lavorò anche in residenze marchigiane, ma sue opere sono presenti anche in prestigiosi palazzi di Roma e di Napoli.
Ha lasciato la sua firma anche a Parigi alla Malmaison e forse anche alle Tuileries, ma di quest’ultimo lavoro non ci sono prove perché la reggia fu abbattuta dalla Comune nel 1871.
In Faenza, oltre al palazzo Milzetti ed al Teatro Comunale Masini, si ammirano una quindicina di palazzi in stile neoclassico ed almeno un’altra decina, costruiti precedentemente, ma decorati nel periodo Neoclassico, sono giunti fino a noi.
Una vivacità costruttiva ed una sensibilità artistica di famiglie, sicuramente ricche di denaro, ma certamente ancor più ricche di cultura e aperte al mutar dei tempi e all’aria nuova che spirava dalla Francia.
Suppongo che molti di costoro fossero anche proprietari di atelier dove venivano prodotte le bellissime faiences che fecero conoscere la loro piccola città in tutto il mondo.
Non posso non pensare a quella nuova borghesia industriale che si stava sviluppando nello stesso periodo e in scala ben più grande in Inghilterra ed in Francia, e, perché no, anche a Milano e in Lombardia.

Giuseppe Perotti