Libero Cecchini, la città e i suoi musei

Nel ricordare la figura dell’architetto Libero Cecchini e il suo ruolo nella costruzione della Verona del Novecento tra antico e moderno, gli Amici dei Civici Musei di Verona guardano in particolare al suo contributo per il sistema museale della città.

All’interno degli Scavi Scaligeri, tra le stratificazioni archeologiche messe in luce per contrasto dalla ruvida espressività delle strutture in cemento armato realizzate negli anni ’80 da Cecchini, illuminate dagli “occhi” aperti alla luce naturale, ha preso posto dal 1996 il Centro Internazionale di Fotografia, con una nutrita serie di mostre che nel tempo hanno consolidato il ruolo di questa istituzione nel panorama culturale cittadino, rendendo familiare al folto pubblico anche il lavoro dell’architetto veronese.

Dal 1986 al 2001 Cecchini condusse poi una lunga campagna di restauri all’interno dell’isolato di Palazzo Forti per la definizione degli spazi espositivi della Galleria d’Arte Moderna. A lui si deve l’apertura del nuovo ingresso da vicoletto Due Mori, la razionalizzazione dei percorsi con l’inserimento di nuovi sistemi di distribuzione verticale e l’ampliamento degli spazi espositivi.

Entrambi questi spazi sono oggi chiusi. Gli Scavi non sono più accessibili a seguito dei lavori di restauro dei soprastanti Palazzi Scaligeri, e lo studio di un nuovo percorso di ingresso che consenta la riapertura del Centro di Fotografia attende di essere realizzato. Come resta chiuso Palazzo Forti, che dopo il trasferimento della GAM a Palazzo della Ragione a seguito dell’alienazione del palazzo, rimane un “museo assente”.

Il contributo più significativo di Libero Cecchini in ambito museografico rimane però fuori dalla sua città: a partire dal 1959 condusse assieme a Piero Gazzola il recupero della Cittadella Museale di Cagliari, un’acropoli sopraelevata rispetto al contesto urbano dove hanno trovati posto, tra i resti delle antiche fortificazioni, il Museo Archeologico e il Museo Etnografico, la Pinacoteca, la galleria d’Arte Moderna e spazi per mostre temporanee.

  

  


Un paio di considerazioni sul Palazzo del Capitanio

Nella cronaca de “L’Arena” di sabato 17 aprile a firma  Lorenza Costantino, veniva ampiamente riportato il programma tecnico che trasformerà in tre anni lo scaligero Palazzo del Capitanio in un nuovo museo veronese.

Lode alla Fondazione Cariverona, proprietaria dello storico palazzo che, anche in un momento economicamente complesso come l’attuale e già impegnata a rafforzare la sua presenza nel capitale del Banco Popolare, trova la volontà e la forza di investire in uno dei più nobili scopi per cui opera: la valorizzazione delle arti e della cultura veronesi.

Probabilmente il modello al quale Cariverona si ispira è il “Genus Bononiae” che la consorella felsinea Fondazione Carisbo ha attuato in molti anni di grande impegno culturale ed economico.

La Fondazione bolognese ha trasformato, con la fattiva ed indispensabile collaborazione di tutte le strutture comunali e statali che si interessano di arte e della sua diffusione, otto importanti realtà architettoniche storiche di sua proprietà in ideali siti di un Museo diffuso per la città di Bologna.

Lorenza Costantino nel suo dettagliato articolo riporta le linee guida dello studio espresse dal progettista arch. Luigi Calcagni per la ristrutturazione del Palazzo del Capitanio.

In particolare precisa che nella futura riqualificazione conservativa  il piano terra e parte dei piani superiori saranno destinati agli uffici della Fondazione.

Il primo piano avrà una doppia funzione, culturale e museale, mentre l’ultimo piano sarà riservato alla sola funzione museale.

Perché questa scelta?

Non penso che la Fondazione, proprio per la sua particolare funzione strategica ed operativa, abbia necessità di predisporre uffici aperti al pubblico, ovviamente a piano terra.

Non sarebbe più razionale invertire l’ordine di destinazione dei piani, dedicando il piano terra all’accoglienza dei visitatori del museo che si svilupperà di conseguenza  in altre sale a piano terra ed in parte in sale al piano superiore?

Date le ampie dimensioni del Palazzo del Capitanio (non per nulla nei secoli passati era denominato il Palazzo Grande), a piano terra potrebbe venir allocata una grande Sala conferenze utilizzabile sia per scopi istituzionali della Fondazione, sia per momenti culturali più universali.

Il caso vuole che una scelta abbastanza simile sia stata realizzata da Genus Bononiae, che nella quattrocentesca Casa Saraceni in Bologna, sede storica e attuale di Carisbo, ha riservato il piano superiore ai propri uffici, dedicando il piano terra ad una Sala conferenze multiuso ed a un grande spazio suddiviso in varie sale utilizzate per esposizioni d’arte.

Anzi, in alcune vetrine del palazzo che si aprono sotto i portici di via Farini sono esposte in permanenza all’ammirazione dei passanti alcune opere di proprietà Carisbo di assoluto valore, come la celeberrima terracotta di Arturo MartiniMadre folle” o le sculture in marmo dello stesso autore “La carità” e “Dedalo e Icaro”.

La giornalista ci ricorda anche che il prossimo cantiere previsto della durata di un triennio (in genere però i tempi pronosticati per cantieri complessi come questo possono tranquillamente raddoppiarsi), comporterà la chiusura ”temporanea” del Centro internazionale di fotografia.

Il Centro, allocato nei bellissimi e suggestivi Scavi Scaligeri è un unicum, vuoi per la capacità di coloro che organizzano le mostre fotografiche, sempre indovinate per le scelte e premiate da un concorso di visitatori non paragonabile ad altre realtà simili almeno in Italia, vuoi per il luogo: una perla della collana museale veronese.

Se ci sarà, e mi auguro  possa esserci, la volontà di riconoscere questi valori, le moderne tecniche cantieristiche di sicurezza saranno certamente in grado di permettere la ristrutturazione del palazzo del Capitanio lasciando in funzione il Centro internazionale di fotografia senza alcun pericolo per personale e visitatori.

Una sua chiusura protratta per anni significherebbe la fine del Centro ed anche un decadimento irreversibile degli Scavi Scaligeri, con il rischio concreto di una loro definitiva cancellazione dal tour turistico scaligero.

Mi ha infine deluso molto l’incauta affermazione di un politico locale riportata sempre nell’articolo dell’ottima Lorenza Costantino.

In sintesi costui tra i tanti musei di Verona, esalta con particolare enfasi il falso storico della Casa di Giulietta. Falso sì, ma “un pozzo di soldi”, al punto di proporre……un duplicato, costruendo sul sito una Casa di Romeo (che secondo la leggenda abitava proprio nei pressi).

Di Centri di fotografia pullula l’Italia; ma il Romeo è solo veronese!

Non ho parole.

Per questo signore sarebbe stato certamente molto edificante essere presente a Castelvecchio sabato scorso alla celebrazione del ricordo di Alessandro Zanella, un piccolo, ma grandissimo artista.

Un ideatore e stampatore, in microscopiche tirature, di bellissimi libri fatti a mano.

Un vero artista che, se non ha prodotto “pozzi di soldi”, ha contribuito da par suo ad elevare la vita culturale di Verona, ancor oggi, nonostante tutto, una delle più belle e preziose culle della civiltà europea di ogni tempo.

 

Aristarco


Paolo Vigevani: fotografo a tutto tondo

Agli Scavi Scaligeri, in pericolo di chiusura, ancora una mostra fotografica di livello internazionale

 

È certamente emblematico che in poco più di un anno questa rubrica, gestita dagli Amici dei Musei, si sia occupata per ben tre volte di fotografia.

In effetti per molti decenni l’interesse per questo settore è stato molto circoscritto. L’esposizione di fotografie ed il confronto dialettico tra la bravura e la capacità interpretativa dei fotografi avveniva solo nel chiuso dei Circoli Fotografici.

Ma, prima negli Stati Uniti, poi nel Centro- Nord Europeo, ed infine anche in Italia, la fotografia, intesa come pura espressione individuale, ha assunto una notevole importanza, incrementando l’organizzazione di mostre, aste ed in parallelo anche una vera e propria attività antiquaria delle opere dei fotografi più noti.

Verona con la felice ed originale decisione di creare il Centro internazionale di Fotografia, utilizzando il sito degli Scavi Scaligeri per allestire fin dal 1996 mostre fotografiche, si è collocata come capofila in Italia per questo importante tipo di attività culturale.

La penultima esposizione, dedicata alla fotografa professionista del secolo scorso Tina Modotti, ha riscontrato un grande successo di pubblico, ed anche di botteghino, cosa non certo secondaria in tempi difficili.

Ma l’ultima mostra, inaugurata il 20 marzo scorso e dedicata alle opere di Paolo Vigevani, un fotografo dilettante di nome, ma non di fatto, ha rivelato fin dal giorno dell’inaugurazione un afflusso di visitatori impensabile.

L’attenzione del pubblico è stata catalizzata anche dagli oscuri presagi sul futuro del Centro di Fotografia.

Pare infatti che il cantiere edile che verrà installato per l’imminente inizio dei lavori di restauro al Palazzo del Capitanio e che sovrasterà gli accessi agli Scavi Scaligeri, rendendo più difficoltose le vie di uscita, abbasserà pericolosamente il livello di sicurezza richiesto per l’operatività di un sito aperto al pubblico.

Le motivazioni sono logiche, ma si sa come spesso vanno le cose sul patrio suolo.

È facile chiudere un sito aperto al pubblico, ma tremendamente difficile, a volte impossibile, riaprirlo in tempi ragionevoli; e soprattutto mantenendo l’utilizzo e le caratteristiche che il sito aveva prima della chiusura.

Pertanto anch’io partecipo alla mobilitazione per non chiudere il Centro internazionale di fotografia, e sono certo che gli appassionati di fotografia saranno ben disposti a transitare attraverso un provvisorio, ma sicuro, percorso di guerra per accedere ugualmente alle prossime Mostre, alcune delle quali già programmate.

a ritorniamo al nostro Paolo Vigevani.

Uomo di profonda e vasta cultura: figlio e nipote di editori e librai antiquari, e lui stesso editore specializzato in opere di architettura, ha coltivato silenziosamente per decenni la passione per la fotografia, sfociando solo più recentemente alla notorietà con alcune importanti mostre che hanno presentato le sue fotografie più significative.

La Mostra di Verona è certamente la più vasta e la più paradigmatica: sono esposte centotrentacinque opere scattate nell’arco di mezzo secolo.

Annoto qui per inciso la bella ed inconsueta presentazione delle fotografie. Nessuna cornice, nessun passe-partout. Le fotografie di vario formato, stampate su carta opaca, sono fissate ad una lastra di alluminio che le tiene ben distese. Non sono oggetti decorativi da appendere nel salotto buono; sono opere autonome, certamente opere d’arte, che surclassano per razionalità e raffinatezza molte “Installazioni” coeve.

Paolo Vigevani, lombardo di nascita, vive tra Venezia e Milano, ma anche a Verona ha svolto attività professionale, punteggiando il territorio con bellissimi scatti molto personali.

La frequentazione con progettisti e costruttori lo ha naturalmente portato a prediligere la fotografia di soggetti architettonici e di paesaggi piuttosto che la figura umana.

Anzi nelle non molte fotografie che riprendono anche persone, queste rimangono spesso un corollario al paesaggio sullo sfondo, o al prospetto di un ponte o di una particolare costruzione. Ma sono sempre questi ultimi che assumono comunque la titolarità di soggetto principale.

Con la loro presenza le silhouette delle persone si limitano a vivacizzare ed a valorizzare il manufatto od il paesaggio che a Paolo Vigevani interessa riprendere.

Spettacolari come idea e come tecnica fotografica sono ad esempio le foto titolate “Al Mart”, “Idea di lettura” e “Un saluto dal ponte”, quest’ultima utilizzata anche per le locandine e per la copertina del catalogo.

Ma altrettanto sublime è il paesaggio titolato “Cave a Campocecina”, che rende alla perfezione la crudezza e la maestosità di un immenso cantiere di lavoro. A mio giudizio i capolavori assoluti della Mostra sono gli scorci architettonici “Alla stazione” e “Muro del padiglione austriaco” per l’assoluta purezza del disegno.

Paolo Vigevani nasce ovviamente come fotografo che utilizza il processo fotochimico ai sali d’argento per il bianco e nero (processo ancora oggi insuperato per la resa e la morbidezza dell’immagine), per passare poi al colore ed infine alla foto digitale.

Un passaggio tranquillo, consapevole, non traumatico, perché il bravo fotografo, utilizzando al meglio le nuove tecnologie, continua a sviluppare le sue doti di sensibilità artistica e professionale, ottenendo la miglior fotografia da ciascun soggetto prescelto, anche quello apparentemente più semplice e facile.

Nelle opere dell’ultimo quinquennio, tutte ovviamente digitali e a colori, l’autore va poi alla ricerca di effetti particolari, come ad esempio la ripresa di soggetti riflessi sull’acqua, su superfici vetrate o riflettenti che provocano effetti fantasmagorici.

Pur non amando particolarmente questo tipo di ricerca fotografica, debbo riconoscere che Paolo Vigevani ha raggiunto anche in questo tipo di riprese effetti stupefacenti.

Senza richiamare, come fa qualche illustre critico, i manifesti strappati di Mimmo Rotella od i sacchi sdruciti e rattoppati di Alberto Burri, direi che si tratta di originalissime fotografie à la mode de Vigevanì.

Grazie Paolo per aver potuto trascorrere una mezz’ora di piacevole godimento e riflessione visitando la tua bella mostra.

 

Giuseppe Perotti


Con la mostra di Tina Modotti si rinnova un antico interrogativo

Nel dicembre del 2013, dopo aver visitato la bella mostra di fotografie di Gianni Berengo Gardin, allestita presso il Centro internazionale di fotografia, inserii su questo sito alcune mie considerazioni sulla mai risolta questione della valenza artistica o artigianale della fotografia stessa.

Non avrei ripreso l’argomento se non ci fosse oggi l’occasione della esposizione, sempre al Centro internazionale di fotografia, di opere di Tina Modotti (che gli Amici dei musei di Verona andranno a visitare il prossimo 20 febbraio).

Tina Modotti fu una singolare figura di “ italiana del mondo” che trovò nella fotografia, grazie anche al suo maestro ispiratore e compagno Edward Weston, una profonda ragione di vita.

Nasce sul finire dell’Ottocento a Udine da famiglia numerosa e povera. Il padre, operaio emigrante, si reca prima in Austria poi in USA a San Francisco. Primi anni scolastici a Udine, poi, dodicenne, il lavoro in filanda. A diciassette anni raggiunge il padre in California dove fa l’operaia, la camiciaia, la modista.

Diventa anche attrice nella nascente vicina Hollywood, finchè conosce Edward Weston, già allora famoso fotografo statunitense.

Tra il 1920 ed il 1927, impadronitasi rapidamente dei segreti della fotografia, soggiorna a più riprese in Messico. Ed è proprio questo importante Paese latino-americano che vede il periodo più intenso e creativo di  Tina Modotti fotografa.

Le sue fotografie, ovviamente in bianco e nero, scattate con fotocamere ingombranti e tecnicamente molto semplici, ci danno un’immagine vivida ed impressionante di un mondo povero, ma orgoglioso della propria individualità, colto in un periodo particolarmente turbolento, sconquassato da rivolte che tendono ad  affrancare le popolazioni più bisognose da sudditanze secolari.

Nell’ultimo decennio della sua breve vita, morirà infatti nel 1942, affiancherà alla sua intensa attività di fotografa un pericoloso ed avventuroso esercizio di agitatrice politica.

Comunista militante, essendo vicina a molti esponenti internazionali di quel partito, viene arrestata ed espulsa dal Messico. La troviamo dapprima a Berlino, poi in altre capitali europee come Parigi e Mosca. Nel 1936 si reca con i suoi compagni di fede politica in Spagna, dove infuria la guerra civile. Rientrerà in Messico nell’ultimo periodo della sua vita.

Ma a noi interessa la Tina Modotti fotografa, e di questo saremo ampiamente soddisfatti visitando prossimamente la Mostra di Verona, ma soprattutto siamo curiosi di conoscere il suo pensiero sulla Fotografia, espresso attraverso molte lettere inviate ad amici e compagni.

Quando alcuni critici, commentando sue foto, parlano di “arte” e di “artistico”, il suo giudizio è tranchant:

“Mi considero una fotografa, niente di più; … cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni”.

Ancora la Modotti ricorda ad un amico:

“… e molti fotografi vanno alla ricerca dell’Effetto Artistico, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che nulla apporta alla Qualità Fotografica”.

Parole taglienti che dovrebbero por fine ad ogni discussione in merito.

In un altro suo scritto fa invece una chiara distinzione tra buone e cattive fotografie.

“Buone sono quelle in cui l’operatore, utilizzando nel migliore dei modi i mezzi tecnici che lo strumento offre, registra con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti. Cattive fotografie sono al contrario quelle in cui l’operatore, che certamente soffre di un complesso di inferiorità, ricorre ad ogni sorta di imitazione, attraverso trucchi e falsificazioni, quasi si vergognasse di riprendere  la realtà  come si presenta. La fotografia è il presente: fissa l’attimo fuggente.
Se il fotografo ha sensibilità ed intelligenza, il risultato dello scatto raggiunge il massimo livello”.

Sono parole chiarissime che non necessitano di alcun commento, ma mi portano comunque a formulare una riflessione: la maggior parte dei grandi e grandissimi artisti, che dalle più antiche civiltà fino ai giorni nostri hanno prodotto opere di incredibile forza e bellezza, si ritenevano artigiani o artisti?

Penso proprio che la gran parte di essi si ritenesse artigiano, e come tali fossero riconosciuti dai loro contemporanei.

Scrutavano e decrittavano la realtà che si presentava loro e la riproducevano con diverse modalità su supporti di vario tipo, sulla base delle tecniche che avevano appreso in bottega, ma soprattutto attraverso la sensibilità della propria cultura e del proprio stato d’animo.

In seguito i critici, attraverso lo studio e l’interpretazione delle loro opere elevarono molti di loro, e giustamente, al rango di artisti, e per alcuni anche di sommi artisti.

Ma loro non fecero in tempo a saperlo.

Sono considerazioni molto intuitive, ma che mi rafforzano l’idea che un artista prima di essere tale, o peggio ancora, di autoproclamarsi tale, debba conoscere le tecniche ed il mestiere dell’artigiano.

E ciò vale, credo, anche per la fotografia.

Fatte queste considerazioni, constato con amara ironia come il tramonto della fotografia basata su processi chimici, per la verità difficile, complessa e costosa, a vantaggio della fotografia digitale che ha incrementato di almeno mille volte il numero di scatti che miliardi di esseri umani replicano ogni giorno, invece di migliorare ed affinare la capacità di fotografare, abbia prodotto una scadente banalizzazione.

Scomparsi gli ostacoli tecnici che un tempo obbligavano il fotografo diligente a predisporre i tempi di posa, l’apertura del diaframma, la messa a fuoco e gli eccessivi contrasti di luce, oggi ha anche dimenticato il piacere di predisporre con intelligenza l’inquadratura migliore e più appropriata.

Si scatta a mitraglia un incredibile numero di foto, e quando si è stanchi si rivolge la fotocamera (o il cellulare o il tablet) verso sé stessi e si spara una serie di…selfie.

Una delle tante occasioni mancate da un distorto concetto di progesso.

Un vero peccato.

 

Giuseppe Perotti


Visite inverno e primavera 2015

Cari Amici e gentili Amiche,

ecco il programma delle prossime visite culturali degli Amici, realizzate per voi insieme alle numerose altre attività per il sostegno ai Musei Civici d’Arte di Verona, attività che l’associazione è in grado di compiere anche grazie al vostro significativo e prezioso contributo associativo.

In questa prima comunicazione d’anno, un commosso ricordo è doveroso per la nostra carissima Caterina Gemma Brenzoni, da poco scomparsa. Caterina è stata una delle più attive iscritte alla nostra associazione, fin dai suoi inizi, indimenticabile per la sua vivida competenza e passione e per aver a lungo e brillantemente collaborato a varie iniziative del museo di Castelvecchio. Il suo calore umano, il suo entusiasmo, la sua freschezza ci mancheranno.

In sintonia con la direzione del museo di Castelvecchio la ricorderemo con un’iniziativa di cui vi faremo presto partecipi.

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PROGRAMMA inverno/primavera 2015

venerdì 20 febbraio 2015, ore 17 – VERONA

Visiteremo la mostra fotografica “Tina Modotti. Retrospettiva” al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, accompagnati da Lorenza Roverato.

Fotografa, attrice, musa di artisti e poeti, attivista politica, Tina Modotti è stata una delle personalità più eclettiche del panorama artistico del secolo scorso.

 

sabato 7 marzo 2015, ore 13.30 – MANTOVA

Alle Fruttiere di Palazzo Te visiteremo la mostra Mirò. L’impulso creativo.

L’esposizione ospita numerose opere del grande artista catalano tra cui oli, arazzi coloratissimi ma anche terrecotte, bronzi e disegni, delineando un excursus storico dal 1966 al 1989 attraverso quasi trent’anni di produzione artistica di uno dei pittori che più ha influenzato le avanguardie europee.

Sempre a Palazzo Te, vedremo la mostra Il giardino incantato di Ai Weiwei.

Quella dell’artista dissidente cinese non sarà una semplice esibizione, ma un evento unico, un viaggio attraverso 46 opere inedite appositamente realizzate per questa occasione, che verranno ospitate nelle sale dello storico edificio. I temi affrontati saranno la libertà d’espressione e i diritti umani, tra genio ed eccesso, tradizione e modernità. In mostra ci saranno anche le creazioni dei due artisti che da anni collaborano con Ai Weiwei in diversi progetti: Meng Huang e Li Zhanyang.

sabato 28 marzo 2015, ore 8.30 – FORLI’ E TERRA DEL SOLE

In tarda mattinata a Forlì, visiteremo la mostra Boldini. Lo spettacolo della modernità.

Giovanni Boldini ha saputo sospendere nel tempo figure femminili piene di fascino, attraverso una ritrattistica seducente e immediatamente riconoscibile. È questo l’aspetto più noto dell’arte del pittore, protagonista della grande esposizione monografica a lui dedicata ai Musei San Domenico.

Nel pomeriggio ci trasferiremo nella vicina Terra del Sole, la città ideale del Rinascimento, le cui proporzioni edilizie rispecchiano l’armonia dell’universo. Chiamata dagli Umanisti Eliopoli, ossia la “città del sole”, fondata per volontà del Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici, diventò dal 1579, anno in cui fu terminata, il principale centro della Romagna toscana. L’atmosfera che si respira nella centrale piazza Garibaldi trasmette il fascino di una città dall’intatto carattere rinascimentale.

sabato 11 aprile 2015, ore 8.30 – BERGAMO E BRESCIA

Al mattino visiteremo la mostra Palma il Vecchio. Lo sguardo della bellezza”, dedicata all’artista che fu raffinato interprete tanto del gusto della committenza veneziana, quanto prodigo d’opere per l’amatissima terra natia. Un’esposizione in cui si potrà ammirare, oltre al resto, il Polittico di Santa Barbara che per la prima volta lascia la sua sede di Santa Maria Formosa a Venezia.

A Palazzo Martinengo, vedremo la mostra Il cibo nell’arte. Capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol.

In linea con il tema di Expo Milano 2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, la mostra rivelerà, attraverso un criterio iconografico e cronologico, quanto i pittori tra XVII e XIX secolo amassero dipingere cibi e piatti tipici delle loro terre di origine. Campi, Baschenis, Ceruti, Figino, Magritte, De Chirico, Manzoni, Fontana, Warhol, alcuni dei maestri protagonisti dell’esposizione.

da giovedì 30 aprile a giovedì 7 maggio 2015 – NEW YORK

Memori della indimenticabile mattinata con Xavier Salomon alla mostra di Paolo Veronese alla National Gallery di Londra, stiamo organizzando una settimana a New York, partendo dalla speciale visita in esclusiva che faremo con Xavier alla Frick Collection, da lui diretta.

Visiteremo i principali musei e le nuove architetture della città, inoltre dedicheremo una giornata sull’oceano a Long Island, dove sorgono alcune delle residenze storiche dei grandi magnati della East Coast.

 

Sempre nel mese di maggio, con data da definire, visiteremo al Museo Diocesano di Padova la mostra dedicata al restauro del Crocefisso di Donatello, accompagnati dal Professor Francesco Caglioti e dalla nostra Anna Chiara Tommasi.

Stiamo organizzando per voi una conferenza sulle architetture dell’Expo’ 2015, che sarà preparatoria alla visita che faremo in giugno a Milano. Riceverete presto ulteriori informazioni.