La sublime armonia del continuo colloquio tra parola e visione per capire e apprezzare un’opera d’arte

Dopo la pausa estiva, riprendiamo le attività sul sito con un articolo del nostro socio Giuseppe Perotti, che con le sue riflessioni anima e arricchisce queste pagine e al quale va, per questo, la riconoscenza di tutti gli Amici.

Sin quando non comparvero a metà Ottocento le prime riproduzioni fotografiche, il sistema universalmente utilizzato per conoscere ed apprezzare le opere d’arte visive, tranne per i pochi fortunati turisti d’élite, era quello di ascoltare o leggere la parola dei critici che avevano potuto ammirarle e studiarle de visu; magari integrandole con disegni o acqueforti che le riproducevano più o meno fedelmente.

Oggi, in un mondo cablato e connesso, con la possibilità di “vedere” e vivere in tempo reale ciò che sta capitando in ogni angolo del pianeta, e spesso anche in altri corpi celesti, può sembrare imperfetta e anacronistica la conoscenza di un’opera d’arte attraverso il solo uso della parola.

Non è così: il fascino della parola non segue le mode del tempo, ma ha un valore assoluto.

L’ottima riproduzione digitale, oggi ottenibile con relativa facilità, favorisce enormemente la diffusione del sapere artistico a prezzi molto contenuti ; ma resta sempre una bella e muta immagine se non viene integrata da un commento che faciliti il lettore nella scoperta ed nella conferma del come e del perché un artista abbia ideato una certa opera.

Anni fa, sul far della sera al Caffè della Versiliana, uno spazio all’aperto tra lecci e pini a Marina di Pietrasanta, Vittorio Sgarbi stava parlando dell’Arte Italiana nella fase di transizione tra il Manierismo cinquecentesco e il Barocco. Inevitabilmente il discorso cadde su Caravaggio, e in assenza di proiezioni su schermo, Vittorio Sgarbi, con il solo ausilio della parola, descrisse e commentò una delle tre opere che Michelangelo Merisi dipinse per la cappella del cardinal Matteo Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma: il celeberrimo “Martirio di San Matteo”.

Il pubblico, un misto di vecchi signori in vacanza e una non trascurabile fetta di curiosi locali, probabilmente attratti dalla notorietà televisiva del conferenziere, per una decina di minuti ascoltò trattenendo il fiato Vittorio Sgarbi. Il critico, attraverso un perfetto uso della lingua italiana, con tutte le possibili sfumature del lessico e la ricchezza dei vocaboli, ma mai facendo sfoggio di termini tecnici, difficilmente comprensibili, rileggeva mentalmente il celebre dipinto, mettendo in risalto sia la complessità stilistica del quadro e la lettura “teologica” dei molti personaggi ritratti, sia il meraviglioso risultato artistico dell’opera che, pur avendo ancora alcuni richiami manieristici, è già rivolta all’incipiente Barocco, attraverso le potenti figure realistiche che hanno fatto dire ai critici del Novecento: dopo Caravaggio nulla fu più come prima.

Quando Vittorio Sgarbi terminò il meraviglioso monologo, un fragoroso battimani, non certo frequente nell’allora sonnacchioso Caffè, confermò come la parola, quando è appropriata e convincente, può valere cento immagini, anche in 3D.

Ma non sempre il contrappunto tra visione e parola vede quest’ultima come mezzo di perfezionamento e rifinitura nella definizione di bello in ogni espressione artistica.

Può anche succedere il contrario. Anzi credo di aver io stesso sperimentato un fatto simile.

Come per tutti gli studenti liceali, dopo i grandi della letteratura italiana dell’epoca d’oro medioevale, affrontai il romanzo cavalleresco cinquecentesco, che vede nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto l’opera di maggior rilievo.

Non fu un bell’approccio, forse per la mia scarsa volontà di apprezzare il linguaggio aulico ed erudito del Cinquecento, decisamente troppo lontano dal nostro idioma.

Rimase solo uno sbiadito ricordo.

Ma in una calda sera d’estate del 1969, essendo solo in città, decisi di andare nei pressi della Basilica di San Zeno Maggiore, dove l’allora giovane e poco noto regista teatrale Luca Ronconi, aveva allestito una rappresentazione scenica tratta dall’Orlando Furioso. In uno spazio quadrangolare, ricavato sul sagrato della stessa basilica, noi spettatori, tutti rigorosamente in piedi, ci aggiravamo tra curiose macchine sceniche, mentre un imponente e minaccioso Ippogrifo stava appollaiato su una sporgenza a metà parete della torre Abbaziale.

Ad un tratto dagli angoli meno illuminati del piazzale emersero alcuni attori, allora giovani e sconosciuti, ma che avrebbero poi percorso lunghe e luminose carriere, ed iniziarono a recitare brani tratti dal celebre romanzo cavalleresco ariosteo.
La suggestione fu grande ed anche noi spettatori restammo coinvolti dalla eccezionale performance recitata in un ambiente completamente diverso dal tradizionale palcoscenico.
In un certo senso ci sentivamo coinvolti e parte integrante, anche se non recitante, dell’evento: da spettatori eravamo stati promossi al livello di comparse teatrali. E non era certo poco!

Quella eccezionale recita mi permise però di penetrare e capire quel mondo favoloso e leggendario che permea tutto il poema, e che una annoiata e distratta lettura scolastica non mi aveva rivelato.

Capii come la conquista dell’impossibile attraverso utopiche e velleitarie imprese da parte dei leggendari personaggi ideati dall’Ariosto abbia potuto non solo ammaliare i letterati del Cinquecento, ma infiammare larghi strati di nuovi lettori che, grazie alla rapida diffusione della stampa, poterono aver accesso a qualche cosa che fino ad allora era stato loro negato. A distanza di quasi cinquant’anni da quella memorabile serata ho ancor ben viva nella memoria una Angelica a non più di tre metri da me, sulla sinistra, che proclamava il suo amore per Medoro, (o era un altro personaggio?), mentre il terribile Ippogrifo, staccatosi dalla parete della torre Abbaziale era letteralmente planato sulle nostre teste. Situazione pericolosa , spettatori compresi, ma un corazzatissimo Astolfo, sbucato dal nulla alla nostra destra ingaggiò un furioso duello con il mostro mitologico, mettendolo fuori combattimento.

Che spettacolo!

Molto più recentemente un piacevolissimo aiuto, squisitamente visivo, per comprendere appieno Ludovico Ariosto, il suo tempo ed il suo indiscusso capolavoro, ci è stato offerto dalla meravigliosa mostra tenutasi nell’autunno del 2016 al Palazzo dei Diamanti in Ferrara e che aveva per titolo: Orlando furioso 500 anni.

Una mostra fondamentale per due ordini di fattori. Primo: per aver portato in un luogo bello e prestigioso come il Palazzo dei Diamanti una serie di dipinti, sculture, strumenti musicali, libri, arazzi, armi, gioielli e altro ancora, tra i più belli e appaganti del Cinquecento italiano, provenienti da musei e collezioni di ogni parte del mondo. In secondo luogo perché tutti i capolavori esposti avevano un preciso richiamo al mondo e alle immagini alle quali Ludovico Ariosto aveva tratto ispirazione nel comporre l’Orlando Furioso.

Una mostra che ha riscontrato un grandissimo successo di pubblico e di critica, proprio perché il visitatore, oltre ad ammirare capolavori assoluti ( erano in mostra opere di Pisanello, Mantenga, Tiziano, Raffaello,Botticelli, Sebastiano del Piombo , e… mi fermo qui), è stato idealmente proiettato in un favoloso ed immaginario mondo che purtroppo era allora, ed è anche oggi, pura fantasia. Ma una fantasia meravigliosa.

Mai come in questa manifestazione artistica è stata raggiunta una perfetta sintesi per celebrare il continuo colloquio tra parola e visione nell’esaltazione del bello assoluto.

Giuseppe Perotti


Un anno sul Canal Grande. Intervista a Paola Marini

È trascorso ormai più di un anno da quando è iniziata l’avventura di Paola Marini sulle rive del Canal Grande.

Un’avventura nata dalla sfida lanciata dal Ministero dei Beni Culturali che ha sviluppato e concretizzato un programma di adeguamento strutturale ed organizzativo per venti dei più importanti e prestigiosi musei e realtà culturali statali italiani.
Un programma a dir poco rivoluzionario che ha modificato lo stesso concetto filosofico di museo statale, finora ancorato a ferrei principi di tutela e conservazione delle opere d’arte, adeguandosi alle esigenze che anche un moderno turismo culturale di buon livello richiede.

Paola Marini, la nostra storica direttrice delle Civiche Raccolte d’Arte di Verona, è stata chiamata a dirigere, in un quadro normativo del tutto nuovo, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, il museo statale italiano che viene universalmente identificato come il massimo centro mondiale per ammirare e studiare la pittura del ‘500 veneziano; e non solo quella.

Comodamente seduti in una piccola saletta delle Gallerie, Paola mi confida l’impressione del suo primo impatto nella nuova prestigiosa direzione.

Profondamente rinnovate da importanti lavori di restauro durante l’ultimo quindicennio, e non ancora del tutto completati, le Gallerie dell’Accademia colpiscono per la grandiosità degli spazi espositivi, con ampi saloni e fughe di luminose gallerie.
Al confronto il nostro caro Museo di Castelvecchio appare come una struttura bellissima, ma a carattere più intimistico, quasi famigliare.

Nelle Gallerie dell’Accademia il respiro è decisamente internazionale: vuoi per la tipologia dei visitatori, assolutamente cosmopolita; vuoi per il continuo colloquio che i direttori, di oggi e di ieri, hanno sempre intrattenuto con i colleghi dei musei di tutto il mondo per organizzare manifestazioni in comune, scambi di opere, approfondimenti culturali e comunque sviluppare quei rapporti di operosa amicizia che solo l’amore per l’alta cultura può realizzare.

Tra i grandi musei italiani le Gallerie dell’Accademia presentano la caratteristica di essere una raccolta quasi monografica. Infatti il museo non nasce come raccolta dei lasciti di grandi famiglie, e di conseguenza di opere che spaziano nel tempo.
La collezione si presenta come una galleria di risulta sia delle spogliazioni napoleoniche, sia delle soppressioni sempre operate da Napoleone, ma anche dall’Italia.

Il risultato è una concentrazione di meravigliosi capolavori della pittura veneziana dal XIV al XVIII secolo, con particolare spazio per il Quattrocento e il Cinquecento.
Quel magico periodo in cui Bellini, Tiziano, Tintoretto, Giorgione, Veronese suscitano con il trionfo del colore, della luce, della naturalezza e del ritratto un vero piacere visivo ed intellettuale.

Qui a Venezia la bellezza e la gioiosità delle tele cinquecentesche ammaliano con i loro splendidi colori luminosi i visitatori di tutto il mondo.

L'organizzazione del Museo

Fino alla recente riforma ministeriale anche le Gallerie dell’Accademia, pur riscuotendo successo di pubblico e sviluppando una notevole attività scientifica, hanno sofferto dei tipici inconvenienti delle strutture statali italiane, soggette a rigidi schemi gerarchici.
Sono transitati direttori di grande valore scientifico, ma per la eccessiva brevità del tempo trascorso alla direzione veneziana, non hanno potuto sviluppare al meglio azioni organiche.

Con la riforma del Ministero vari musei statali italiani sono stati resi autonomi dalle Sovrintendenze, e la figura del Direttore è andata assumendo un ruolo del tutto nuovo.
Oltre al valore della preparazione scientifica, che ha sempre contraddistinto il personale direttivo dei musei italiani, ai nuovi direttori è stata richiesta una maggior capacità “imprenditoriale” e gestionale, avendo il ministro fornito loro nuovi strumenti che li avvicinano più a dirigenti di azienda piuttosto che ad alti burocrati ministeriali ai quali, loro malgrado, erano finora costretti ad identificarsi per alcune attività di servizio.

Le Gallerie dell’Accademia, prosegue Paola Marini, come per gli altri diciannove siti scelti per il nuovo corso gestionale, dovranno nell’esercizio delle loro funzioni avvalersi di uffici e reparti tecnici autonomi.
Ma la sfida a Venezia diventa ancor più difficile, e nel contempo stimolante, perché le varie strutture delle Gallerie non hanno ancora una sufficiente copertura di personale specialistico.
Mancano ad esempio ancora tre dei sei storici dell’arte previsti dalla pianta organica.

Tutto questo ha comportato un primo anno di direzione complesso e a volte imprevedibile, ma certamente molto suggestivo: un vero e proprio battesimo del fuoco.

 

Tra le varie aree funzionali delle Gallerie spiccano:

  • Le Collezioni e la Gestione del Patrimonio; e fra l’altro comprendono le istruttorie per i prestiti, con le complesse e molto delicate pratiche che li regolano e li garantiscono.
  • L’Amministrazione; un settore prevedibile in qualsiasi gestione, ma grande novità per una sede museale che, uscita dal controllo e dalla vigilanza della Sovrintendenza, ha per la prima volta una sua autonomia di bilancio e quindi obbligo di gestione oculata e precisa.
  • L’Area di Servizio Pubblico; anche se le Gallerie debbono ancora rispettare alcuni vincoli statali in questo campo, il museo non si sente più come una realtà periferica di un ministero romano, ma sta assumendo anche in questo fondamentale settore una dinamica ed una autonomia che lo porteranno ad essere simile ad una moderna impresa.
  • Il Settore della Ricerca; le Gallerie in collaborazione con Università ed Istituti di ricerca sviluppa in continuazione approfondimenti e studi comparati sulle opere sue e di altri musei, per contribuire alla soluzione degli interrogativi che sono la ragion d’essere di una scienza al servizio di una miglior conoscenza: la Storia dell’Arte.

Presso le Gallerie opera un Laboratorio del Restauro molto conosciuto ed apprezzato per il valore dei suoi tecnici, laboratorio che ebbe il battesimo del fuoco dopo la grande alluvione del novembre 1966 che fece grandi danni in una Venezia sommersa per molte ore dal mare.

Organi dirigenziali delle Gallerie dell’Accademia sono:

  • Direttore, di nomina ministeriale
  • Consiglio d’Amministrazione, formato da cinque membri tra cui il Direttore che lo presiede ed il Direttore del Polo Museale regionale. Quest’ultima figura, di recente ideazione, diventa il polo aggregatore a livello regionale di tutti i musei, anche quelli non statali.
  • Collegio dei Revisori dei Conti.
  • Comitato Scientifico. Assume particolare importanza l’attivazione recente di questo importante organo (che annovera tra i suoi membri anche il notissimo studioso di storia dell’arte Vittorio Sgarbi), perché con i suoi approfondimenti ed i suoi consigli rafforza l’autorevolezza delle decisioni del direttore, creando insieme a questi una task force culturale che non farà certo rimpiangere le strutture un po’ troppo protocollari del passato.

 

Ringrazio Paola Marini per questa esauriente disamina sulla nuova impostazione delle Gallerie dell’Accademia e le chiedo quale sia dopo un anno di attività il suo feeling con Venezia.

Paola risale come origine recente del tutto alla lontanissima data del novembre 1966, quando la cultura mondiale si strinse a Venezia per soccorrerla, creando ben ventidue Comitati internazionali per Venezia, veri e propri ambasciatori della cultura nel mondo.
Molti di questi sono ancora generosamente attivi, e alcuni operano a fianco delle Gallerie.

Le conoscenze personali che Paola già aveva con direttori italiani e stranieri che operano in Venezia hanno enormemente facilitato l’allargamento delle conoscenze con altri responsabili di Centri di Cultura nazionali e mondiali. Un feeling a tutto tondo.
Inoltre sono molto stretti i rapporti con l’Università di Cà Foscari, che tra l’altro ha agevolato con studi e nuove elaborazioni scientifiche lo sviluppo del nuovo Piano di gestione quadriennale richiesto dal Ministero dei beni culturali, quello appunto che ha nominato i venti nuovi direttori di musei, orientando la rivoluzione tuttora in atto.

Paola infine mi ricorda che l’incantevole presenza presso le Gallerie dell’Accademia di opere tra le più celebri e conosciute genera richieste di prestiti da Musei, Gallerie e Fondazioni di tutto il mondo.
Prestiti che si cercherà di trasformare in più vantaggiosi interscambi, per accrescere le reciproche conoscenze grazie allo studio di questi straordinari capolavori del passato.

La collaborazione con gli importanti e celebri Musei civici veneziani è molto intensa, e proprio ora stanno allestendo insieme una Mostra su “Hyeronimus Bosch ed il collezionismo della famiglia Grimani” a Palazzo Ducale; inoltre sempre i due poli museali veneziani, statale e civico, stanno già lavorando per una epocale Mostra sul Tintoretto per il 2018, con doppia sede espositiva a Palazzo Ducale e alle Gallerie della Accademia. Mostra che a chiusura dei battenti sarà trasferita per una sua ulteriore esposizione alla National Gallery di Washington.

Altre ventidue opere sono in mostra a Denver in Colorado, affiancando altri dipinti del Rinascimento, provenienti da vari musei e collezionisti statunitensi
Ma dalle Gallerie dell’Accademia sono partite ben cinquantatré opere per due mostre in Giappone, a Tokio e Osaka; quest’ultima appena conclusa , con un buon successo di un pubblico molto competente ed attento.
Non ultimo in ordine di tempo il prestito di alcune opere alla Cina, che le ha esposte a Pechino.

È una intensa attività volta a sensibilizzare Paesi lontani d’Oriente alla conoscenza dell’arte italiana, invogliandoli a riallacciare con Venezia quegli scambi culturali che caratterizzarono per molti secoli i rapporti tra i due Mondi.
L’innegabile risveglio culturale che sta coinvolgendo anche il nostro Paese trova nel mondo produttivo e commerciale un attento testimone.
Grandissime aziende, ma anche chi non ti aspetti, come ad esempio Borsa di Milano, seguono con attenzione il mutato interesse degli italiani per tutto ciò che concerne l’alta cultura e le grandi opere d’arte.

Paola Marini vede positivamente questi nuovi segnali, e si augura che una volta entrato a regime il nuovo corso della gestione museale, con personale e mezzi adeguati, ci sia la reale possibilità di ascoltare e vagliare queste proposte, e indirizzarle in maniera intelligente ad un loro soddisfacimento, dando così da un lato una nuova e originale visibilità ai finanziatori, e permettendo ai Musei nuove iniziative culturali che per ora sono conservate nel libro dei sogni.

E come chicca finale l’instancabile Paola Marini mi ricorda che, nel 2017, cadrà il duecentesimo anno dall’apertura delle Gallerie dell’Accademia, e che tale ricorrenza andrà degnamente ricordata.

Ma non basta. Nel 2019 sarà celebrato in tutto il mondo il V centenario della morte di Leonardo da Vinci, del quale le Gallerie dell’Accademia custodiscono ben venticinque disegni, fra cui il più famoso di tutti: il celebre Uomo Vitruviano. Quel disegno che al di là della perfezione e della bellezza stilistica, aprì il mondo di allora allo studio ed alla ricerca scientifica.

Che cosa ha in mente Paola per celebrare quell’anniversario?
Certamente qualche cosa di molto bello, degno delle Gallerie dell’Accademia e di Venezia tutta.

 

Giuseppe Perotti


"Arte e vino" alla Gran Guardia: una stupenda mostra che meriterebbe maggior interesse da parte del pubblico

Nella gloriosa storia delle Mostre d’Arte italiane l’anno 1951 segna lo spartiacque tra due ere molto diverse tra loro.

Tutte le manifestazioni precedenti erano state ideate e realizzate per un relativamente ristretto pubblico di appassionati ed intenditori.
Persone disposte anche a lunghi spostamenti in treno o in nave per soddisfare il piacere personale della scoperta e del confronto di opere d’arte che normalmente si trovavano presso musei lontani od erano gelosamente custodite in collezioni private.

Nel 1951 arrivò la Mostra del Caravaggio al Palazzo  Reale di Milano e tutto non fu più come prima.

Pochi giorni dopo l’apertura della mostra ideata dal grande Roberto Longhi il passaparola dei primi visitatori contagiò i milanesi di qualunque strato sociale e rapidamente una folla sempre più numerosa si accalcò ad ammirare quadri che, visti per la prima volta da vicino e ben illuminati, facevano scoprire epidermicamente la forza dirompente del grande artista lombardo.

Un ricordo personale ed emblematico: una domenica pomeriggio mentre ero in visita con mio padre alla mostra, la folla di visitatori, pur se disciplinata, si accalcò pericolosamente attorno ai quadri ( allora ancora non esistevano i sistemi di allarme sonori oggi di uso generalizzato). Il sovrintendente Gian Alberto Dell’Acqua, deus ex machina della manifestazione, e molto spesso presente in mostra, si consultò con gli assistenti, suggerendo di sospendere a titolo precauzionale l’ingresso del pubblico per una mezz’ora!

Da allora  le grandi Manifestazioni d’Arte hanno subito una profonda evoluzione.
Pur continuando a rivolgersi a strati sempre più ampi di pubblico, incrementando di conseguenza la missione educativa insita in ogni espressione culturale, alcune manifestazioni nascono da una precisa esigenza scientifica, allo scopo di raccogliere e mostrare opere di uno o più Maestri per catalizzare l’interesse degli studiosi ed approfondire attraverso la comparazione diretta temi ancora in discussione. Altre manifestazioni sono invece appannaggio di veri professionisti nella esaltazione di determinate opere d’arte, attraverso ben rodate strutture commerciali nelle quali il battage pubblicitario è la cifra primaria.
Il ritorno economico resta ovviamente il fine ultimo di questo tipo di  mostre.

Generalmente tali manifestazioni sono riconoscibili per la interessata insistenza nel pescare tra i sempreverdi Impressionisti francesi, i sicuri Vincent Van Googh o Pablo Picasso, oppure fanno leva su mostre monografiche. Le accorte tecniche pubblicitarie si concentrano assai spesso su una singola opera, o addirittura su un particolare  secondario inserito nell’opera: il successo di cassetta è assicurato.
Da questo punto di vista Verona è rimasta ancora una città fortunata.
La presenza di validi studiosi e dirigenti di famosi musei, e la sua naturale vocazione ad essere una primaria meta turistica d’Italia, fanno sì che la città sia sempre riuscita negli anni ad organizzare mostre di elevato interesse scientifico, ma anche di grande partecipazione popolare.

La mostra “Arte e Vino”, aperta alla Gran Guardia dall’11 aprile scorso al prossimo 16 agosto, rientra a pieno titolo tra le grandi mostre di interesse propedeutico, ma nel contempo assai godibile per la bellezza e la presa immediata delle opere di famosi artisti italiani ed europei che dal Cinquecento al Novecento hanno dedicato la loro attenzione a produrre capolavori dove la vite ed il vino sono evocati come simboli religiosi e profani caratteristici della Civiltà europea e delle sue molte Culture.

Dall’Antico Testamento ai giorni nostri, ma anche nella mitologia greca, l’albero della vite evoca la continuità della vita nel tempo, mentre il vino è tema dominante nella liturgia cristiana. È naturale quindi che i testimoni di ogni epoca, gli artisti appunto, abbiano dedicato ampio spazio alle loro rappresentazioni.

In tempi più recenti grandi artisti hanno rivolto la loro attenzione al momento operoso della raccolta delle uve e della loro trasformazione, fino a riprodurre con raffinata arte e poesia l’allegro utilizzo del prodotto finale.
Ricordo solo alcuni degli autori più famosi con opere in mostra per comprendere la sua eccezionalità: Tiziano, Rubens, Lorenzo Lotto, Annibale Carracci, Luca Giordano,  Sebastiano Ricci, Gianbattista Tiepolo, Pietro Longhi, fino ai più recenti Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Domenico Inganni, Filippo de Pisis, Fortunato Depero, Giorgio Morandi, Renato Guttuso, Pablo Picasso e molti altri ancora.

I due raffinati curatori, Annalisa Scarpa e Nicola Spinosa, hanno voluto integrare l’esposizione delle pitture con artistici oggetti in vetro, argento, rame, marmo e maiolica di rara e squisita fattura, alcuni dei quali sono rappresentati nelle pitture esposte.

Una mostra bella e godibile anche per la facilità di comprendere e gustare i soggetti e le scene rappresentate.

Nonostante queste suggestive premesse la mostra fa fatica a decollare e le presenze  giornaliere di pubblico non sono in linea con l’importanza dell’esposizione. Non mi sembra che ci sia alcunché da imputare agli organizzatori, tenendo ben conto che al giorni d’oggi i budget per queste attività sono molto ridotti rispetto a tempi neppure troppo lontani.

Mi sia però permessa una piccola osservazione: il titolo della mostra: “Arte e Vino” mi sembra un po’ troppo elementare e passibile di essere mal compreso dal possibile visitatore. Dico questo anche perché, curioso come in genere sono, nel corso di una mia visita alla mostra ho chiesto a chi opera in loco se fosse possibile dare una classificazione ai visitatori in base alle loro aspettative. È così risultato che alcuni pensavano che la mostra fosse una appendice ad alto livello artistico di un’altra manifestazione commerciale tipo Vinitaly; e che accanto alle opere fossero esposte bottiglie delle più prestigiose case vinicole veronesi.

Per contro altri visitatori sono rimasti positivamente sorpresi dalla concentrazione in un’unica mostra di opere di così famosi pittori provenienti dalle più celebri Gallerie mondiali come l’Hermitage, il Louvre, la Galleria dell’Accademia, Ca’ Pesaro, ed anche da esclusive ed inavvicinabili collezioni private.

Pensando ai messaggi subliminali che l’odierna scienza delle comunicazioni  può suggerire, un titolo un pochino più accattivante avrebbe potuto stuzzicare maggiormente la curiosità dei potenziali visitatori.
Credo invece che coloro che a livello globale coordinano tutte le attività turistico- culturali della città (spero proprio che Verona, come quarta città turistica italiana, abbia in funzione una Sala di regia di questo tipo), coordinino in maniera più  razionale e logica la grande quantità di eventi che interessano la città, e in particolare la Bra.

Vi descrivo ora che cosa ho osservato attraversando in diagonale la piazza mentre tornavo a visitare la Mostra alcuni giorni or sono:

  • Sotto l’Ala dell’Arena mi sono imbattuto in una folla variopinta e festante di qualche migliaio di persone, frammiste a centurioni e gladiatori, che attendeva l’apertura degli arcovoli per assistere all’esibizione canora di Romina e Albano.
  • Nello spazio tra il palazzo degli Honorj e il monumento a Vittorio Emanuele II tre giovani suonavano su un palchetto musica metal-rock amplificata ad almeno 105 dB.
  • Sulla gradinata esterna della Gran Guardia, frammisti a decine di turisti esausti, stazionava un folto gruppo di giovani che attendeva in allegria  una festa di fine anno scolastico di un liceo veronese che si sarebbe svolta sotto il portico della Gran Guardia di lì a poco.
  • Sulle pareti ai lati del fornice centrale della Gran Guardia penzolavano due striscioni di tela con scritto in verticale “Arte e vino” ed a caratteri più piccoli le annotazioni logistiche per raggiungere la mostra.

Quattro momenti diversi tra loro,che hanno comunque ognuno diritto ad esistere.

Ma chi di dovere dovrà in futuro fare in modo che sovrapposizioni di questo tipo non abbiano più a ripetersi. Unitamente ad una preparazione logistica e pubblicitaria più incisiva e adeguata, mi auguro vivamente che i prossimi viaggi a Verona di Rubens, di Guido Reni e dei loro compagni d’arte, abbiano un riscontro ed un successo di pubblico pari a quello espresso dai critici d’arte per l’attuale Mostra, che è molto alto e  lusinghiero.

 

Giuseppe  Perotti


Presentazione della mostra “Arte e Vino”

Martedì 12 maggio, alle ore 17.30, in Sala Boggian organizzeremo una presentazione della mostra Arte e Vino, che è stata inaugurata lo scorso 11 aprile al Palazzo della Gran Guardia e che rimarrà aperta fino al prossimo 16 agosto.

Della mostra, promossa dal Comune di Verona con la Provincia Autonoma di Trento, Veronafiere, il Museo Statale Ermitage e il Martci parlerà Maurizio Cecconi, AD di Villaggio Globale International, che presenterà un progetto espositivo di grande suggestione, che presenta operedal Cinquecento al Novecento e accende nuova luce su un tema, il vino, la cui storia antichissima abbraccia le grandi civiltà del passato, ha radici profonde nella tradizione italiana e ha ispirato – nelle diverse epoche – il genio di grandi artisti.

La presentazione, oltre a illustrare i contenuti scientifici della mostra, porrà l’accento anche sui retroscena del lavoro curatoriale e organizzativo di un progetto espositivo di livello internazionale: oltre 2 anni di preparazione, 184 opere esposte, più di 90 prestatori, 51 studiosi coinvolti e capolavori dei grandi maestri della storia dell’arte tra cui: Lotto, Tiziano, Reni, Giordano, Carracci, ma anche Rubens, de Ribera, Poussin, Jordaens; e poi Carpioni, Longhi, i Bassano, Ricci, Tiepolo, van Honthorst e, via via fino a Morbelli, Nomellini, Inganni, De Pisis, Depero, Morandi, Guttuso e Picasso.

La presentazione, aperta a tutti gli interessati, è a ingresso libero fino ad esaurimento posti.